giovedì 28 giugno 2012

UNA TAZZA DI THE


Nan-in, un maestro giapponese dell’èra Meiji (1868-1912), ricevette la visita di un professore universitario che era andato da lui per interrogarlo sullo Zen. 

Nan-in servì il tè. Colmò la tazza del suo ospite, e poi continuò a versare.
Il professore guardò traboccare il tè, poi non riuscì più a contenersi.
- E’ ricolma. Non ce ne entra più!- 
- Come questa tazza, - disse Nan-in 
- tu sei ricolmo delle tue opinioni e congetture. Come posso spiegarti lo Zen, se prima non vuoti la tua tazza?

MAL COMUNE MEZZO GAUDIO

"Avere idee è raccogliere fiori, pensare è fare ghirlande" - Kahlil Gibran


Ogni volta che qualcuno mi manda fuori di me succede sempre così.
Mi arrabbio talmente tanto che finisco sempre con l'avere un'idea.


Devo incazzarmi.
Per natura.
Sono costretta ad incazzarmi per una cosa ingiusta.
Poco importa se il torto viene fatto a me o a un altro.
Il primo che accetta un sopruso forma il precedente.
E non ci si dovrebbe prendere la responsabilità di accettarlo anche in nome degli altri.
Che poi gli altri altro non sono che uomini.


Sarebbe ora, insomma, di smettere di dare il cattivo esempio e di affrontare i problemi della vita con una sana incazzatura.
Non violenta.
Non disperata.
Non brontolona.
Non cinica.
Ma creativa.


A volte ho l'impressione che davanti a una porta proviamo solo a spingerla, sempre più forte, con tutte le nostre forze, ma non proviamo mai a tirarla. 
Ci ostiniamo a cercare quindi una soluzione sempre nei soliti posti.
Non camminiamo mai al di fuori del seminato.
Non pensiamo mai creativamente. 


Creatività poi è una parola di cui hanno abusato un po' tutti ma stringi stringi deriva da creazione.
E la creazione non è mai una cosa fatta e finita.
E' continua, in movimento.
La creazione non si esaurisce mai. 

E' un processo non un dato di fatto.


E la creatività è di tutti.
Appartiene allo stesso fatto di essere vivi.



Diamo per scontate tante cose.
Ci ripetiamo che sono così e che non si possono cambiare.
E invece sbagliamo.
Sbagliamo.
Perché dovremmo essere incazzati e creativi.
Non quieti e frustrati. 

Ci piaceremmo di più e andremmo a letto soddisfatti.


E' che non ci piace rincorrere il problema ed arrivare ad estirparlo.
Strappare via le radici o dare una leggera spuntata?
Questo è il vero problema.
E' il problema del problema.
Che nessuno lo guarda con attenzione.
Non appena lo si vede spuntare tutti corriamo ai ripari.
Per carità fa che non tocchi a me questa volta!


E' che vedete, lui rimane lì.
E se non colpirà me colpirà sicuramente qualcun'altro.
E questo ci fa stare davvero meglio?
Si può passare la vita a ripetersi "anche questa volta l'abbiamo sfangata"?
O sarebbe forse il caso di incazzarsi e di dire basta una volta per tutte e nel nome di tutti?


I problemi che abbiamo sono gli stessi.
Tanto che troviamo conforto nel raccontare agli altri ciò che ci è capitato.
Lo facciamo per non sentirci soli.
Perché il mal comune è mezzo gaudio.

E allora perché non ci uniamo per prevenirlo, più che combatterlo.
Perché non ci organizziamo diversamente?
Perché non proviamo ad essere un po' creativi?

Perché non  ci inventiamo un modo di vivere migliore di questo anziché lamentarcene tanto?


Io ci sto provando.
E non mi fermerò mai!


Tanti saluti dalla Fraschetta. 



















mercoledì 27 giugno 2012

NON L'AVEVO CONSIDERATO...


Ho una passione sfrenata per le statistiche.
Ma le statistiche mie personali.
Ad esempio lo sapevate che colui che si siede a capotavola in una lunga tavolata di solito è il più cretino del gruppo? E i due seduti ai lati seguono a ruota.
Oppure che i figli degli insegnanti hanno un tasso di handicap più elevato rispetto ai figli delle persone normali?
Non me ne vogliano.
Non è una critica, ma un'osservazione.
Oppure che la generazione nata negli anni '70 ha un tasso di cretini più alto rispetto alle precedenti?
E questa mi incuriosisce assai.
Se dovessi basare le mie scelte su ciò che hanno fatto prima di me non sarei quella che sono oggi.
Il punto è che non mi accontento più di sapere che una cosa è così.
Il bello sta nel capire il come mai.

Quindi la domanda che mi ronzava nella testa da un po' era:
"cos'è che ha reso possibile che la gente si rimbecillisse?"
Non la causa principale, quella è talmente sotto gli occhi di tutti che manco la vediamo più.
Non voglio dichiarar guerra, ma provocare una piccola scaramuccia.
Voglio sapere chi ha favorito tutto questo.
Voglio sapere uno dei modi in cui ci avete resi idioti.

La risposta la sapevo.
Giuro, non scherzo.
Sapevo che quella parola era complice.
Ma non mi fidavo.
Mi sembrava così stupido pensare che una cosa del genere potesse influenzare il corso dell'umanità per i secoli a venire.
Poi stamattina la conferma.
Non richiesta.
Inattesa, come tutte le cose buone della vita.

Parlavo con i nostri vicini di casa.
Sapete la famiglia che si è trasferita a vivere qui.
Si parlava di tante cose e tra queste si è inciampati nel '68.
E io ho teso l'orecchio più che mai.
Nel '68 c'era stato grande movimento.
E' un periodo affascinante della storia in cui frugare, non perché la gente si fumava le canne ma perché è lì che è nascosto un tassello chiave della nostra umanità.
Lì c'è una miccia rimasta inesplosa.
Ma c'è la miccia cazzo!
E allora come mai nel '71 è finito tutto?
Come mai?

Allora gli ho chiesto cosa fosse successo dopo.
Come mai la miccia si era spenta.
Dove stava l'errore?

"Niente. Solo Musica"

Maledetta Discomusic.
Lo sapevo che c'entravi anche tu!
Bastarda.
Con le tue canzoni senza senso e orecchiabili.
Con i tuoi ritmi che picchiettavano i cervelli.
Con le tue voci elettroniche.
Con i tuoi playback penosi.

Hai dato il via ad una sequela di canzoni scritte a tavolino senza alcun senso.
Perché il senso di una canzone non risiede nelle parole ma nella mano di chi la scrive.
Maledetta!
Il corso della musica ha preso proprio una brutta piega e con lui noi stessi.
Ma mica c'è da stupirsene dal momento che tutto è collegato.
Ci avete fatto sucare barry white e donna summer che orgasmava.
Poi giù fino alle mie memorie con i Take That e ancora più giù i Backstreet Boys, e Britney Spears e le Spice Girls (perdiolespicegirlsno!)
E adesso Bieber e Lady Gaga.
Diabolicamente mostruosi.
Il tutto collegato da una musica House che non si sforza nemmeno più di usare parole.
Sono sufficienti Love, Gimme, Money, Sex, Yeah, Baby.
E queste basteranno ancora per almeno 17 anni.

Sono stupita di essere sopravvissuta!

Per favore fermatevi.
Tutti quanti.
Fermatevi.
E aiutatemi a capire cos'altro è andato storto in quegli anni.
Cosa è successo?
La Discomusic da sola non avrebbe potuto fare tutto questo.
Uniamo i puntini.
So che sapete.

Attendo suggerimenti.
Saluti dalla Fraschetta.

lunedì 25 giugno 2012

THE FUTURE IS SO HARD TO SEE...

Non riesco più a ridimensionare i miei sogni.
Se si sogna si ha il diritto di farlo in grande.
Senza sentirsi in colpa.
Perché in un sogno tutto deve essere possibile.
Non esiste ostacolo, non esiste limite, non esistono leggi.
Il Sogno è mio e lo gestisco io!

Appena siamo arrivati abbiamo trovato un campo.
Incolto, mai usato.
Piano piano si è trasformato in un orto.
Il mio primo orto.
Ogni giorno ne aggiungo un pezzo.
Poi ci sono i polli.
Tra poco costruiremo il secondo pollaio.

Son soddisfazioni!
Lo dico veramente.
A scuola dovrebbero farti avere di diritto un pezzettino tutto tuo dove seminare e curare le piante.
E' terapeutico.
Cura tante ansie.
E ti regala un senso di continuità con la natura tale, che non sai dove finisce la tua mano e inizia la foglia.

C'è un'ora in particolare che vorrei non finisse mai.
La sera, quando il sole si rilassa, un venticello leggero inizia a soffiare e i colori si smorzano.
Innaffiare le verdure in quel momento è da zen assoluto.
Ogni tanto passano delle ragazzine a cavallo.
Tito cerca di spaventare i polli, senza successo.
(Oramai lo sanno che lui è il più pollo di tutti.)
C'è una pace nell'aria che è visibile.
Non dovrebbe finire mai.

Perché in quell'ora anche i miei sogni si rinvigoriscono.
Li vedo possibili.
Penso che vorrei che tanti altri uomini provassero per un periodo questa terapia.
Riscoprissero un contatto con la natura autentico.
Senza stress e senza preoccupazioni.
Penso che sia bello vivere come vivevano i miei nonni.

Purtroppo è difficile strappare le persone alla loro vita quotidiana.
A volte penso che dovrei rapirle.
E che non dovrei essere punita per questo.
Perché è il fine che crea il reato.
E un rapimento a scopo di distensione, non può essere malvagio.

Quanto siete impauriti.
Basterebbe davvero un po' di coraggio.

Un abbraccio.

domenica 24 giugno 2012

LA COMUNE DI OVADA





Per non dimenticare che qualcuno si era già rotto i coglioni di tutto questo.
Prima di noi.
Come noi.

UN PENSIERO CHE MI PASSA PER LA TESTA

Vedo ogni movimento.
Anche il più impercettibile.
Anche il più lontano.
Noto il cambiamento.
Ne sono consapevole.

All'improvviso tutto torna.

Tutto è così logico e cristallino.
Tutto ha un senso, finalmente.

Oggi sono arrivati.
Sono arrivate le prime persone che stavo aspettando.
Non sapevo chi sarebbero state, ma sapevo che qualcuno sarebbe venuto a trovarci.
Una famiglia: padre, madre e tre figli adolescenti vivono in una roulotte.
Avevano due lavori e una casa in affitto.
Poi un giorno si sono guardati e han detto "perché non ci compriamo una casa?".
Poi il lavoro se ne è andato e il mutuo è rimasto.
E la fine della storia la sapete già.

Anche io vivo in un campeggio.
Questa società ha un ritmo che io non riesco a sostenere.
Ne fisicamente ne economicamente. 
E quanti come me che non lo dicono.
Chissà quanti sono?

La conoscete la "teoria dell'Italiano"?
Se vivete all'estero e pensate di essere l'unico nel vostro genere, rimarrete delusi, perché appena ne trovate uno, trovate tutti gli altri.
Gli Italiani vivono a grappolo.
Ecco.

Io ho trovato loro.
Anzi loro hanno trovato noi.

E hanno un amico.



sabato 23 giugno 2012

TALMUD

Se non sono per me stesso, chi sarà per me?
Se sono per me stesso soltanto, che cosa sono?
Se non ora - quando?

Mishnah, Abot

LA CONGIURA DELLE POLVERI

"Remember, remember, the fifth of november." 
Questa mattina sono andata a farmi un giretto nella Londra del 1600 per vedere come se la passavano in quegli anni.
Era il periodo in cui la Chiesa metteva becco nella politica e scomunicava a suo piacimento regnanti e sovrani.
Alcuni Papi erano giunti al punto di scomunicarsi tra loro.
A vicenda.
Con la stessa facilità con cui i bambini non si stanno più amici.
Era un po' la moda dell'epoca.
Elisabetta I, Regina d'Inghilterra, se la prese a male e si incazzò a tal punto che sfogò tutta la sua rabbia sul povero popolo inglese.
Frugava in tutte le vie alla ricerca di un presunto cristiano da mettere alla gogna e torturare.

Giustamente il Papa, al sicuro nel suo castello romano, si arrabbiò pubblicamente e privatamente faceva spallucce.
C'erano spie ovunque.
Non sapevi più se dovevi bestemmiare o pregare.
E quale Dio era quello giusto?
Il Dio che piaceva alla Regina o quello che piaceva a Pio?
I sudditi tirarono un sospiro di sollievo quando quella vecchia zitella di Elisabetta tirò le cuoia.
Ci sarebbe stata forse un po' più di libertà?
Figuriamoci.
Il figlio di Maria Stuarda, Giacomo, il nuovo re, diventò un po' più tollerante.
Ma solo all'inizio.
Per fare bella figura.
Nel frattempo erano circolate tra il popolo le prime voci sui modi osceni in cui veniva torturata, uccisa e sventrata la gente ritenuta colpevole di credere al Dio sbagliato.
Cinque signori, tra cui figuravano nobili e soldati di (s)ventura, ognuno con la propria persecuzione alle spalle, decisero che ne avevano le palle piene ed affittarono una casa vicino al Parlamento.
Il fascino di quella casa risiedeva tutto nella sua cantina.

Il piano era questo: scavare un cunicolo fin sotto al Parlamento inglese e farlo saltare per aria con dentro la famiglia reale al gran completo.

Purtroppo i lavori per una rivoluzione hanno dei costi elevati e i Cinque si trovarono costretti ad allargare la cerchia dei rivoltosi.
E il 4 vien da sé...
Tutto questo movimento cominciava ad essere sospetto.
E i rischi che qualcuno cantasse cominciavano a farsi insopportabili.
Il governo aveva già ricevuto qualche notizia a riguardo ma all'inizio parve non dargli comunque troppo peso.
A loro interessavano più i Gesuiti che i ribelli.
La notte del 4 novembre Guy Fawkes, soldato di sventura, si recò a dare un'occhiata ai 36 barili (contenenti 2500 kg di esplosivo) che aveva camuffato in cantina, dietro a qualche mobile vecchio.
Ma ad attenderlo al varco si trovava una pattuglia di guardiani, che lo arrestò, lo imprigionò e lo torturò sapientemente.
Per 5 giorni il nostro uomo resse.
Non parlò.
Non fece alcun nome.
Dichiarò solo che sì, era sua intenzione far saltar per aria il Parlamento.
Sperava che almeno i suoi compagni si salvassero.
Avessero il tempo per scappare.
E magari un giorno riorganizzarsi.
Vennero catturati tutti.
E torturati.
Gli aguzzini volevano dimostrare che il loro era un atto guidato dai Gesuiti per poter una volta per tutte aver ragione sul Papa.
I compagni non denunciarono mai nulla di simile e vennero condotti al loro destino.
Parziale impiccagione, slogamento delle articolazioni e sventramento.
Così... tanto per gradire.

Furiosi con questi cazzo di Gesuiti che non riuscivano a cogliere in fallo decisero di arrestarne uno lo stesso.
Padre Garnet.
Pare che durante il suo massacro in pubblico pronunciò parole così toccanti che la gente, solitamente entusiasta di assistere ad una esecuzione, gli tirò i piedi durante l'impiccagione, per porre fine più velocemente alle atroci sofferenze dell'uomo.

La Legge insieme con la Giustizia si vergognarono a tal punto che abbandonarono quel luogo.
E per gli inglesi che erano rimasti a guardare iniziavano ora 3 secoli di cazzi amari.



« Remember, remember,
the fifth of November
gunpowder, prison and plot,
a stike or a stake for king James's sake
will you please give us a fagot,
if you can't give us one,
we'll take two.
the better for us,
the worst for you. »



venerdì 22 giugno 2012

PER LA MIA RABBIA ENORME MI SERVONO GIGANTI...


Non fate altro che lamentarvi di noi giovani.
Invertiamo la rotta.
Lamentiamoci un po' di voi vecchi.
Non amo le generalizzazioni ma dato che avete cominciato così, mi ci ritrovo costretta anche io.


Sono un po' stanca di sentire osservazioni sul nostro conto.
Parlate basandovi su sondaggi e statistiche ma a noi di fatto non chiedete mai niente.
Nemmeno un banale “come state”.
Credete forse che nella vostra esperienza ci sia la verità e quanto vi sbagliate.
Credete che noi non abbiamo nulla di interessante da dire.
Dovete imboccarci con le vostre parole per crescerci come ci volete.
Non ci aiutate a capire cosa sia buono o giusto, ne il perché.
Ce lo imponete.
E non ammettete domande.


Quale insegnante non sarebbe contento della domanda di un suo allievo?
Non è forse sinonimo di intelligenza il chiedere, più che il rispondere?
Non è forse nella domanda che si trova già la risposta?


Viviamo in un mondo che ha già deciso per noi e che continua a farlo.
Costantemente.
Avete già tracciato la nostra strada e minato tutte le scorciatoie. 
Costringerci a seguire i vostri passi porterà mai a qualche cosa di nuovo?
Lo fate per il nostro bene?
O avete paura della novità?
Una novità che dovrebbe non includervi perché siete vecchi. 


Vecchi nell'animo e nell'aspetto.
Con i vostri acciacchi e i vostri malumori continuate a dettar regole a noi, che ci sentiamo ancora vivi e pieni di entusiasmo.
Questo entusiasmo non vi piace vero?
E' palese.
Preferite addormentarvi in parlamento piuttosto che far parlare qualcun altro.
State tutti attaccati ai vostri posti e chiedete a noi giovani di accontentarci.
E' giusto che il figlio si accontenti degli avanzi del padre?
E' giusto che il padre consumi non solo il suo futuro ma anche quello del figlio?
E' onesto?
E' umano?


Vi rivolgete a noi con una sufficienza e un'autorità che non vi spettano.
Intorno a me non vedo altro che i vostri fallimenti.
Su tutti i fronti.
E ve lo posso garantire, il futuro che mi avete riservato fa proprio cagare. 
La scuola è quanto di più inutile esista al mondo.
Non l'educazione, la scuola.
Nozioni, regoline, compiti, esami.
Impostata come una fabbrica, con campanelle che suonano e dettano i tempi.
Con insegnanti frustrati e stanchi delle loro stesse parole.
Che avviliscono tutto un passato di grandi menti e idee. 
Che sforna giovani sempre più ignoranti e distaccati dalla realtà.


Era questo il vostro nobile obiettivo?
Complimenti. 


Pare che l'unica cosa che vi interessi sia quella di abituarci all'idea di obbedire.


Obbedisci a scuola.
Obbedisci ai genitori.
Obbedisci a militare.
Obbedisci alla chiesa.
Obbedisci alla legge.
Obbedisci all'insegnante.
Obbedisci ai superiori.
Obbedisci ai capi.
Obbedisci ai clienti.
Obbedisci alla vita.


Ma vale la pena di vivere una vita con la testa chinata?
E di obbedire a me stesso non ne parla mai nessuno.
Perché?


Ci introducete nel mondo del lavoro già messi a novanta.
Obbligandoci a sopportare i vostri capricci.
Studiando per noi contratti che ce la mettano nel culo.
Subito.
Senza indugi.


Permettete che i capi truffino i loro stessi dipendenti.
Permettete che si faccia di noi ciò che il più potente comanda.
Ci costringete a rimangiarci i nostri diritti.
A fare finta che non siano mai esistiti, perché il momento è duro e bisogna stringere la cinghia in attesa di tempi migliori.
Questi tempi migliori devo pensare dunque che siano nel futuro.
E voi quanto volete vivere ancora?
Quanto volete starci in mezzo ai coglioni?


Bloccate le idee.
Bloccate la creatività.
Bloccate la comunicazione.


Siete avidi e senza scrupoli.
Siete solo da biasimare.


I vostri armadi sono pieni di chissà quanti scheletri.
E questo lo sapete meglio voi, di me.
Mi domando come facciate ancora a dormire la notte.


Queste responsabilità sono troppo grandi per voi.
Non sapete come gestirle e la vostra ignoranza vi porta ad essere dei veri malfattori.
Dei ladri di vite e di tempo.
Parlate senza sapere.
Parlate senza avere nulla da dire.
Avete persino inventato una vostra lingua, artificiale e vuota, per non farci capire che le vostre frasi non valgono un cazzo.
Ci confondete le idee.
Litigate tra di voi dando il più pessimo degli esempi.
Vi nascondete dietro a un dito.
Pretendete l'omertà.


Per dio.
Siete proprio ridicoli.


I vecchi che non hanno ancora imparato come stare al mondo sono la cosa più penosa che si possa incontrare.
E' il destino che nessuno si augura.
E' il male più grosso di questo secolo.
E' una sciagura.
Una piaga.
Mi auguro veramente una vita più dignitosa per me e le persone che mi stanno accanto.


Una vita che non sia fatta di escamotage.
Che non sia fatta di accordi truffaldini.
Una vita che mi permetta da vecchia di potermi guardare allo specchio e riconoscermi. 


Parlo con voi con il rispetto che meritate.
Vi giudico in base ai vostri risultati, è un privilegio.
A noi giovani non ce lo permettete. 
E poi ci date degli inconcludenti.
Che vigliacchi.


Vivete dei vostri privilegi in un mondo che va in merda.
E date la colpa a noi.
Che facce da culo!
Ma come vi permettete?
Come osate?


Non conoscete la vergogna.
Non conoscete la pietà.


Quali sicurezze volete garantirci?
Sentiamo.
Insegnatemi come vivere in un mondo che non mi vuole.
Insegnatemi che le mie idee sono sbagliate.
Insegnatemi che l'unico modo è il vostro, e non esiste alternativa.
Ripetetelo.
Ripetetelo a voi stessi però.
Perché noi non vi abbiamo mai ascoltato.
E di certo non vi ascolteremo più.

mercoledì 20 giugno 2012

NON SON TUTTE GALLINE QUELLE CHE LUCCICANO

Credevo di avere delle galline e scopro che sono polli.
Anzi galli per la precisione.
Nati in Portogallo e allevati in Italia dopo un viaggio durato 2500 km.
I nostri vicini Portoghesi prima della nostra partenza li guardavano con aria interessata.
Immaginandoli al forno con qualche patata.
Non potevamo fargli fare quella fine.
Da quando li abbiamo portati a casa li abbiamo osservati così tanto, con curiosità, che abbiamo finito per affezionarci. 

Così abbiamo trasformato il bagagliaio della nostra C1 in una comodo vagoncino per polli.
Le galline grandi (quelle che allora credevamo tali) da una parte.
I paperoni dall'altra.
E la Baby Nursery per i pulcini di tutte le razze.
E siamo partiti.

Ogni ora ci fermavamo in un'area di sosta per dargli da bere col biberon.
Di nascosto, naturalmente.
Se qualcuno ci avesse visto avremmo rischiato grosso.
Lo chiamano trasporto di animali vivi.
E ci vuole un autorizzazione.
Per noi erano le nostre galline e le avremmo portate a casa ad ogni costo.

Portogallo e Spagna sono passati lisci.
Ce li siamo lasciati alle spalle chilometro dopo chilometro.
Senza preoccupazioni.
Abbiamo dormito un paio d'ore davanti a un Hostal nei dintorni di Madrid.
Spersi nella più piatta delle pianure spagnole.
Abbiamo fatto colazione.
Le galline hanno mangiato dell'insalata fresca.
Tito ha fatto una pisciatina.
E via, verso la Francia.

In Francia l'atmosfera cambia.
Si vede che è un paese più "civile". 
Il controllo si sente nell'aria.

E difatti, manco a dirlo, superato il confine e tirato il primo sospiro, eccoli spuntare al primo pedaggio.
Un uomo in uniforme con gli occhiali a specchio.
Come nei peggiori telefilm.
Vede la nostra macchina.
Annusa qualcosa che non va, cerca di fermarmi, ma è troppo tardi.
Senza quasi rendermene conto avevo forzato un posto di blocco.
Francese per di più.
Con macchina targata Italia.

Lo guardo nello specchietto allargare le braccia.
Lo maledico come solo un Italiano può fare.

Facciamo ancora qualche chilometro in autostrada ed eccolo passarci di fianco.
Rallenta e abbassa quei maledetti occhialetti da sbirro.
E prosegue.
Voleva intimorirci.
Il figlio di puttana.
Non siamo mica dei criminali, noi...

Insomma che l'allegra truppa decide di uscire e proseguire in statale.
Il nostro obiettivo era raggiungere Montpellier sani e salvi.
80 chilometri di semafori, paesini, rotonde e strisce pedonali.
Interminabili.

A un certo punto avvistiamo uno spiazzo in mezzo agli alberi.
Un angolino tranquillo.
Ci fermiamo e facciamo pascolare le nostre galline.
Una scena da BennyHill d'annata.
Chi non ha galline non può capire quanto si diventi ridicoli nel cercare di acciuffarne una.
Figuriamoci sette.
Lo ricorderò sempre.
Quel momento sarà sempre nel nostro cuore.

Usciti finalmente dalla Francia cominciava ad essere notte.
In Italia ci sentivamo quasi spavaldi.
A pochi chilometri da casa tutto cambia di nuovo.
Rapidamente e magicamente.
Dopo 26 ore di auto quasi continuative il tempo scorre lento.
Sembra quasi che se la prenda comoda.
Quei pochi chilometri che ci mancavano, sommati agli oltre 2000 appena macinati, sono ricchi di allucinazioni e pensieri strani.

Arrivati abbiamo baciato terra.
Tutti.

Amiamo le nostre galline.
Anzi i nostri Galli.
I nostri PortoGalli da riproduzione.
E rischierei ancora tutte le multe del mondo e tutte le menate che ne conseguono pur di vederli ancora distruggermi l'orto.

Spero di non avervi annoiato.
Un abbraccio come sempre.


IL SILENZIO


Il silenzio ha molte qualità.
C'è il silenzio fra due rumori, il silenzio fra due note e il silenzio che si allarga nell'intervallo fra due pensieri. 
C'è il singolare, quieto, pervadente silenzio che si diffonde in campagna alla sera ; c’è il silenzio nel quale si ode il latrato di un cane in lontananza o il fischio di un treno che arranca per una ripida salita; il
silenzio che regna in una casa quando tutti sono andati a letto, e il suo particolare risalto quando ti svegli nel cuore della notte e ascolti un gufo gridare nella valle; e c’è il silenzio che precede le risposte della compagna del gufo. C’è il silenzio di una vecchia casa abbandonata, e il silenzio di una montagna; il silenzio fra due esseri umani quando hanno visto la stessa cosa, sentito la stessa cosa, e agito. 
Quella notte, specialmente in quella valle remota con le antichissime colline e i loro macigni di forma singolare, il silenzio era reale come la parete che toccavi. E tu guardavi dalla finestra le stelle luccicanti. Non era un silenzio autoprodottosi; non era perché la terra fosse quieta e gli abitanti del villaggio fossero addormentati, ma veniva da ogni dove, dalle stelle remote, da quelle colline scure e dalla tua mente,dal tuo cuore.
Questo silenzio sembrava coprire tutto, dal più piccolo granello di sabbia del greto del fiume - che conosceva acqua corrente solo quando pioveva – all’alto, frondoso fico di Banian e una leggera brezza che cominciava a spirare.
C'è il silenzio della mente che non è mai toccata da alcun rumore, da alcun pensiero o da l'effimero vento dell’esperienza. Questo è il silenzio innocente, e pertanto infinito. Quando c'è questo silenzio della mente, da esso scaturisce l'azione e questa azione non è causa di confusione o infelicità.
La meditazione di una mente che sia totalmente in silenzio è la benedizione che l’uomo sempre cerca. In questo silenzio ogni qualità del silenzio è.
C’è quello strano silenzio che regna in un tempio o in una chiesa vuota sperduta nella campagna, senza il rumore di turisti e fedeli; e il pesante silenzio che regna nell’acqua è parte di quello che è fuori del silenzio della mente.
La mente meditativa contiene tutte queste varietà, tutti questi cambiamenti e movimenti del silenzio. Questo silenzio della mente è la vera mente religiosa, e il silenzio degli dèi è il silenzio della terra. 
La mente meditativa scorre in questo silenzio, e l''amore è la via di questa mente. In questo silenzio c’è la beatitudine e il riso.

Jiddu Krishnamurti 
sabato 16 giugno 2012

AI GIOVANI


Vi siete mai chiesti quale sia il senso dell'educazione? Perché andiamo a scuola, perché impariamo varie materie, perché facciamo esami e gareggiamo fra di noi per avere i voti migliori? Qual è il significato della cosiddetta educazione, qual è la sua vera funzione? Si tratta di un interrogativo realmente importante, non solo per gli studenti, ma anche per i genitori, per gli insegnanti e per chiunque ami questo nostro pianeta. Perché affrontiamo la lotta che il ricevere un'educazione comporta? E' semplicemente allo scopo di superare qualche esame e trovare lavoro? Oppure la funzione dell'educazione è di prepararci, quando siamo giovani, a comprendere il processo della vita nella sua interezza? Avere un lavoro e guadagnarsi da vivere è necessario - ma è davvero tutto lì? E' solo per quello che veniamo educati? Di certo la vita non è fatta soltanto di un lavoro, di un'occupazione. La vita è qualcosa di straordinariamente ampio e profondo, è un grande mistero, un vasto regno in cui agiamo in quanto esseri umani. Se ci prepariamo semplicemente a guadagnarci da vivere, non riusciremo a cogliere il senso della vita; e comprendere la vita è molto più importante che prepararsi per un esame o ottenere ottimi risultati in matematica, fisica e così via.
Dunque, in quanto insegnanti o allievi, non è importante domandarci perché educhiamo o veniamo educati? E qual è il significato della vita? Non è forse la vita una cosa straordinaria? Gli uccelli, i fiori, gli alberi in fiore, il cielo, le stelle, i fiumi e i pesci che ci vivono - tutto questo è vita. La vita sono i poveri e i ricchi; la vita è la perenne battaglia fra gruppi, razze e nazioni; la vita è meditazione; la vita è ciò che chiamiamo religione, ed è anche gli aspetti inafferrabili, nascosti, della mente - le invidie, le ambizioni, le passioni, le paure, le gratificazioni, le angosce.
La vita è tutto questo e molto di più. Ma di solito ci prepariamo a comprenderne solo una piccola porzione. Superiamo certi esami, troviamo un lavoro, ci sposiamo, abbiamo dei figli, e diventiamo sempre più simili a macchine. Continuiamo a essere paurosi, ansiosi, spaventati dalla vita. E allora, la funzione dell'educazione è di aiutarci a comprendere l'intero processo della vita o semplicemente di prepararci a una professione, al miglior lavoro possibile?
Cosa ne sarà di tutti noi quando diventeremo uomini e donne adulti? Vi siete mai chiesti cosa farete quando sarete adulti? Con ogni probabilità vi sposerete e, prima ancora di rendervene conto, sarete madri e padri; a quel punto sarete legati a un lavoro, o alle incombenze domestiche, e così, poco a poco, appassirete. E' tutto qui quello che la vostra vita si avvia a essere? Ve lo siete mai chiesto? Non dovreste interrogarvi a questo proposito? Se la vostra famiglia è agiata, può darsi che abbiate già assicurata una posizione abbastanza buona, che vostro padre vi procuri un lavoro comodo o che facciate un matrimonio ricco; ma anche così andrete incontro al declino, al deterioramento.
Certamente l'educazione non ha senso a meno che non vi aiuti a comprendere la vastità della vita in tutte le sue sfumature, con la sua straordinaria bellezza, i suoi dolori e le sue gioie. Potete avere lauree e titoli accademici, e trovare un ottimo lavoro; e poi? A che serve tutto questo se strada facendo la vostra mente si offusca, si logora, si instupidisce? Non dovreste cercare di scoprire il senso della vita adesso che siete giovani? E non è forse quella la vera funzione dell'educazione, ossia di coltivare in voi l'intelligenza che cercherà di trovare la risposta a tutti questi problemi? Sapete cos'è l'intelligenza? E' la capacità di pensare liberamente, senza paure, senza formule, che ci permette di cominciare a scoprire autonomamente ciò che è reale, ciò che è vero; ma se siete spaventati, non sarete mai intelligenti. Qualunque forma di ambizione, spirituale o terrena, alimenta l'ansia, la paura; ecco perché l'ambizione non aiuta a far sviluppare una mente che sia chiara, semplice, diretta, e quindi intelligente.
Sapete, è molto importante, quando si è giovani, vivere in un ambiente dove non alligni la paura. Andando avanti con gli anni, la maggior parte di noi diventa sempre più timorosa: abbiamo paura di vivere, paura di perdere il lavoro, paura della tradizione, paura di ciò che i vicini o il proprio coniuge diranno, paura della morte. La maggior parte di noi ha paura, in una forma o nell'altra; e dove è presente la paura, non c'è intelligenza. E non è forse possibile per tutti, da giovani, vivere in un ambiente dove non si respiri la paura, bensì la libertà  - libertà non di fare ciò che si vuole, ma di comprendere il processo del vivere nella sua interezza? La vita è in realtà bellissima, non è quella brutta cosa a cui noi l'abbiamo ridotta; e se ne può apprezzare la ricchezza, la profondità, la straordinaria bellezza solo quando ci si ribella contro tutto - contro la religione organizzata, contro la tradizione, contro il marcio della società attuale - scoprendo autonomamente, in quanto singoli esseri umani, ciò che è vero. Non imitazione, ma scoperta: è questa l'educazione, non è così? E' molto facile adeguarsi a ciò che la società o i genitori o gli insegnanti vi dicono. E' un modo sicuro e facile di esistere; ma non è vivere, perché in esso si annidano la paura, la decadenza, la morte. Vivere vuol dire scoprire autonomamente ciò che è vero, e questo è possibile soltanto quando si è liberi, quando è in atto una continua rivoluzione interiore.
Ma non siete incoraggiati a muovervi in questa direzione; nessuno vi dice di indagare, di scoprire autonomamente cos'è Dio, perché se mai vi ribellaste, diventereste un pericolo per tutto ciò che è falso. I vostri genitori e la società vogliono che viviate una vita sicura, e anche voi lo volete. In generale, una vita sicura significa una vita di imitazione e, quindi, di paura. Ma la funzione dell'educazione è di aiutare ciascuno di noi a vivere liberamente e senza paura, non è così? E la creazione di un'atmosfera libera da paure richiede un considerevole sforno di riflessione sia da parte vostra, sia da parte dell'insegnante, dell'educatore.
Sapete cosa significa questo - che cosa straordinaria sarebbe creare un'atmosfera libera da paure? Noi dobbiamo crearla perché, come possiamo vedere tutti, il mondo è perennemente in preda alla guerra, è guidato da politici avidi di potere, è un mondo di avvocati, poliziotti e soldati, di uomini e donne ambiziosi che vogliono farsi una posizione e lottano gli uni contro gli altri per affermarsi. Poi ci sono i cosiddetti santi, i guru religiosi con i loro seguaci; anch'essi bramano il potere, il prestigio, adesso o in una vita futura. E' un mondo folle, in preda alla confusione più totale, in cui il comunista combatte il capitalista, e il socialista si oppone a entrambi; tutti hanno nemici e lottano per conquistare la sicurezza, rappresentata da una posizione di potere o di agiatezza. Il mondo è lacerato dai conflitti fra credenze opposte, dalle differenze di casta e di Casse, dai separatismi nazionali, dalle forme più svariate di stupidità e di crudeltà - e voi venite educati a prendere il vostro posto proprio in questo mondo. Venite incoraggiati a inserirvi nel contesto di questa società disastrosa; è questo che vogliono i vostri genitori e che anche voi, in effetti, volete.
Orbene, la funzione dell'educazione è semplicemente quella di aiutarvi ad adeguarvi allo schema di quest'ordine sociale marcio o piuttosto di darvi la libertà - la più completa libertà di crescere e creare una società differente, un mondo nuovo? Noi vogliamo tale libertà non nel futuro, ma adesso, altrimenti corriamo tutti il rischio di distruggerci. Dobbiamo creare subito un'atmosfera di libertà, cosicché voi possiate vivere e scoprire autonomamente ciò che è vero, diventare intelligenti, essere capaci di affrontare il mondo e comprenderlo, anziché semplicemente adeguarvi ad esso; dentro di voi, in profondità, psicologicamente, dovete essere perennemente in rivolta, perché solo coloro che sono sempre in rivolta possono scoprire il vero, non certo coloro che si adeguano, che seguono la tradizione. Solo indagando, osservando, imparando costantemente, potete trovare la verità, Dio o l'amore; ma non potete indagare, osservare, imparare, non potete avere alcuna consapevolezza profonda, se avete paura.

Dunque, la funzione dell'educazione è di sradicare, tanto internamente quanto esternamente, questa paura che distrugge il pensiero, i rapporti umani e l'amore.
Forse possiamo esaminare il problema della paura da un'altra angolazione. La paura produce effetti straordinari sulla maggior parte di noi. Crea ogni sorta di illusioni e di problemi. Se non la esploreremo in profondità fino a comprenderla veramente, la paura distorcerà sempre le nostre azioni. La paura deforma le nostre idee e menoma il nostro modo di vivere; crea barriere fra le persone e certamente distrugge l'amore. Quanto più ci addentriamo nella paura, quanto più la comprendiamo e ce ne liberiamo realmente, tanto maggiore sarà I nostro contatto con tutto ciò che ci circonda. Attualmente i nostri contatti vitali con la vita sono assai pochi, non è vero? Ma se riusciamo a liberarci dalla paura, amplieremo tali contatti, approfondiremo la nostra comprensione delle cose, avremo una reale compassione, una considerazione amorevole per il mondo, e i nostri orizzonti si allargheranno enormemente. Vediamo dunque se possiamo parlare della paura da un diverso punto di vista.
Mi domando se avete mai notato che la maggior parte di noi ricerca un qualche tipo di sicurezza psicologica. Desideriamo la sicurezza, qualcuno a cui appoggiarci. Come un bambino piccolo stringe la mano della madre, così noi vogliamo qualcosa a cui aggrapparci, qualcuno che ci ami. Senza un senso di sicurezza, senza una difesa mentale, ci sentiamo persi. Siamo abituati ad appoggiarci agli altri, a rivolgerci agli altri affinché ci guidino e ci aiutino, e senza tale sostegno ci sentiamo confusi, spaventati, non sappiamo cosa pensare, come agire. Nel momento in cui siamo lasciati a noi stessi, ci sentiamo soli, insicuri, incerti. Da questo nasce la paura, non è così?
Desideriamo qualcosa che ci dia un senso di sicurezza e abbiamo a disposizione difese di vario genere, barriere protettive sia interne che esterne. Quando chiudiamo le finestre e le porte di casa e restiamo dentro, ci sentiamo al sicuro, indisturbati. Ma la vita non è così. La vita bussa in continuazione alla nostra porta, cerca di spalancare le nostre finestre in modo che possiamo vedere di più; e se, spinti dalla paura, chiudiamo a chiave le porte e sbarriamo le finestre, busserà ancora più forte. Quanto più ci aggrappiamo alla sicurezza, sotto qualunque forma, tanto più la vita interviene e ci trascina. Quanto più abbiamo paura e ci chiudiamo in noi stessi, tanto maggiore è la sofferenza, perché la vita non ci lascia in pace. Vogliamo sicurezza, ma la vita dice che non possiamo averla; e così ha inizio la nostra lotta. Cerchiamo la sicurezza nella società, nella tradizione, nel rapporto con il padre e la madre, con il marito o la moglie; ma la vita fa sempre irruzione attraverso le mura della nostra sicurezza.
Anche nelle idee cerchiamo sicurezza o conforto, non è così? Avete osservato come nascono le idee e in che modo la mente ci si aggrappa? Avete l'idea di qualcosa di bello che avete visto durante una passeggiata e la vostra mente torna a quell'idea, a quel ricordo. Leggete un libro e ne ricavate un'idea a cui vi aggrappate. E' indispensabile, dunque, che capiate come nascono le idee e come diventano un mezzo per procurarsi sicurezza e conforto interiore, qualcosa a cui la mente si aggrappa.
Avete mai riflettuto sulla questione delle idee? Se uno di voi ha un'idea e io ho un'idea differente, e ciascuno dei due pensa che la propria idea sia migliore di quella dell'altro, ci accapigliamo, non è così? Io cerco di convincere lui ed egli cerca di convincere me. Il mondo intero è costruito sulle idee e sui relativi conflitti; e se esaminate la questione in profondità, scoprirete che il semplice fatto di aggrapparsi a un'idea non ha senso. Ma avete notato che vostro padre, vostra madre, i vostri insegnanti, i vostri zii e zie, si aggrappano tutti tenacemente alle proprie idee? Orbene, come nasce un'idea? Come vi vengono le idee? Quando ad esempio avete l'idea di andare a fare una passeggiata, come è sorta tale idea? E' molto interessante scoprirlo. Basta osservare - e capirete come sorge un'idea di questo genere, e come la mente si aggrappa ad essa, scartando tutto il resto. L'idea di andare a fare una passeggiata è la risposta a una sensazione, non è così? Già in passato siete andati a passeggio e ve ne è rimasta un'impressione o sensazione piacevole; avete voglia di rifarlo, così l'idea viene creata e poi messa in pratica. Quando vedete una bella automobile, avvertite una sensazione, non è così? Tale sensazione nasce dal fatto stesso di guardare l'automobile. La visione crea la sensazione, da cui nasce l'idea, "Voglio quella automobile, è la mia automobile", e l'idea diventa allora assolutamente predominante.
Cerchiamo sicurezza fuori di noi, nel possesso di oggetti e nei rapporti, e anche internamente, nelle idee e nelle credenze. Credo in Dio, credo nei riti, credo che dovrei sposarmi in base a certi principi, credo nella reincarnazione, nella vita dopo la morte, e così via. Queste convinzioni derivano tutte dai miei desideri e pregiudizi e ad esse mi aggrappo. Ho sicurezze esterne, ossia al di fuori dei confini del mio corpo, e sicurezze interne; toglietemele o mettetele in discussione, e io avrò paura; vi respingerò, vi combatterò se minacciate la mia sicurezza.
Ma esiste davvero questa cosa chiamata sicurezza? Capite Cosa intendo? Noi abbiamo certe idee a proposito della sicurezza. Possiamo sentirci sicuri insieme ai nostri genitori oppure facendo un particolare lavoro. Il nostro modo di pensare, di vivere, di guardare alle cose - tutto questo ci può soddisfare. La maggior parte di noi è ben contenta di rinchiudersi dentro idee sicure. Ma è davvero possibile essere sicuri, malgrado tutte le difese interne ed esterne a nostra disposizione? Sul piano esterno può accadere che domani la nostra banca fallisca, ché nostra madre o nostro padre muoiano, che scoppi la rivoluzione. E c'è forse sicurezza nelle idee? Ci piace pensare di essere al sicuro con le nostre idee, le nostre credenze, i nostri pregiudizi; ma lo siamo davvero? Ci sono muri che non sono reali, che sono semplicemente il frutto delle nostre sensazioni e concezioni. Ci piace credere che esista un Dio il quale vigila su di noi, oppure che rinasceremo più ricchi, più nobili di quel che siamo adesso. Potrebbe essere e potrebbe non essere. E' facile dunque, se consideriamo le certezze sia interne che esterne, accorgersi che nella vita non c'è alcuna sicurezza.
Vedendo tutto questo, una persona profonda inizia a liberarsi di ogni tipo di certezza, interna o esterna. Ciò è estremamente difficile, perché significa essere soli - soli nel senso che non si è dipendenti da nulla. Nel momento in cui si dipende da qualcosa, si ha paura; e dove c'è la paura, non c'è amore. Quando si ama, non si è soli. Il senso di solitudine sorge unicamente quando si ha paura di essere soli e di non sapere cosa fare.
Quando si è controllati dalle idee e isolati dalle credenze, la paura è inevitabile; e quando si ha paura, si è completamente ciechi.
Insieme, insegnanti e genitori devono dunque risolvere questo problema della paura. Ma purtroppo i vostri genitori hanno paura di ciò che potreste fare se non vi sposate o se non trovate lavoro. Hanno paura che prendiate una cattiva strada, paura di ciò che potrebbe dire la gente, e a causa di tale paura vogliono che facciate determinate cose. La loro paura è ammantata di quello che essi chiamarlo amore. Vogliono prendersi cura di voi, dunque dovete fare questo e quest'altro. Ma oltre il muro del loro cosiddetto affetto e attenzione per voi, scoprirete la paura, il timore per la vostra sicurezza e rispettabilità; e anche voi siete spaventati, perché per tanto tempo siete dipesi da altre persone.
Ecco perché è molto importante che, sin dalla più tenera età, cominciate a mettere in discussione e a infrangere questi sentimenti di paura, per non farvi isolare da essi, per non restare rinchiusi nelle idee, nelle tradizioni, nelle abitudini; e siate, invece, esseri umani pieni di vitalità creativa.


                                                                                                                                           Jiddu Krishnamurti


EPPUR SI MUOVE...

Vorrei parlarvi di un fischio.
Un fischio che ha segnato per sempre la mia vita.
E quando dico per sempre sono consapevole di ciò che dico.
E' arrivato.
Inatteso ma desiderato da sempre.
E' arrivato e mi ha dato ragione.
E' stata questione di pochi secondi.

Nella mia testa volavano mille problemi.
C'era una confusione tremenda.
Indecisa su quello che avevo fatto e su quello che dovevo ancora fare.
Non c'era più posto nemmeno per un piccolo pensiero.
Era tutto occupato da preoccupazioni, ansie e paure.
Mi interrogavo sul domani, sul futuro.

Poi il fischio.
E subito dopo il silenzio.
Il silenzio più totale.
Il silenzio più silenzioso che abbia mai sentito.
Il silenzio che ti fa sentire ogni minimo suono della natura.
Che fa eco nella tua testa e rimbalza e diventa così armonioso.
Il silenzio che conforta e da coraggio.
Il silenzio dell'intelligenza.

Tutti i pensieri sono spariti.
Un secondo dopo non c'era più nulla in quella testolina.
Questa testa vuota che ora mi impedisce di provare a fare ipotesi sul futuro, o di frugare indietro nel passato.
E' un flusso continuo.
Di sensazioni e di idee.
Un mare calmo di meditazioni.
Non penso più.
So.

E sono così sicura di me che sarei pronta a difendere tutta l'umanità se fosse necessario.
Sono così chiara con me stessa da essere trasparente anche per gli altri.
Non c'è più filtro, tradizione, usanza, teoria che mi freni.
Non me ne frega più un cazzo.
Questa è la vera verità.
Non me ne frega più un cazzo di tutto quello che c'è stato.
Né di tutti quelli che han parlato.
O han deciso.
O han comandato.
O han consigliato.
O hanno obbligato.

Io sono io.
E sono abbastanza per decidere di quel che ne sarà di me.
Solo io conosco a fondo i segreti del mio cuore e della mia anima.
Solo io posso sapere cosa è bene, per me, perlomeno.

Da quel fischio non ho più avuto paura.
Quella paura che attanaglia la mente e rapisce le idee.
Quella paura che ti fa stare in attesa che qualcuno ti dica cosa fare.
Quella paura che tanto fa comodo a chi ci comanda.

Ecco quella paura è volata via.
Vero a volte mi batte forte il cuore, o mi tremano un po' le gambe, ma sono sensazioni talmente infantili che fanno tenerezza più che spavento.

Mi sono risvegliata.
E adesso giuro di non aver più sonno...

martedì 12 giugno 2012

HELLO PEOPLE, HOW ARE YOU?


Hello.
Is the first time that I try to write in English, directly, using my brain and what I've learned.
Be good to me, I'm still learning.
Anyway.
I need to talk to you.
I need to talk with all the free men and women on Earth!
I'm sure you are out there, somewhere, waiting for a change.
Just like me.


My name is not so important.
I'm 26 and I'm from Italy.
I live in a small city where there is nothing to do, except live.
But since I was a child there has always been a problem.
The crisis, the money, the needs have been part of my life, daily.
But now I've realized that all that stuff was nothing more than a bullshit.
The biggest bullshit ever.
And I'm a little bit angry.

I have some questions.
I don't know who's gonna answer and who is the guilty.
But I have some questions.

First of all I want to know why is this planet so horrible.
I live on Earth, just like you, and I swear I'm a good girl.
And if you are reading this I know you're good too.
So why all this mess?
All this poverty?
All this cruelty?
All this blindness?

We are living on our only planet and I can't believe that there's nothing better to do than war.

Why are we fighting?
And what are we fighting for?

I'm tired.
I want Peace, nothing more than this.

I live in a caravan in a camping.
I help here and I pay my debt.
I'm not alone.
I'm with my only love.
And we are trying to understand if there is a better way to live our lives.
A way where we can be safe and free, but for real.

I won't feel free until there is someone who's looking at me, deciding on my life.
That's unfair.
That's not freedom.

So that's the question, why are you treating us like enemies?
Why you control all our movements?
Why we can't walk on this planet without being spied?

I repeat, I'm a good girl.
And all I want to do is live.

All these tortures in the name of safety?
But safety from who?
Who is the Evil on this world?

You?
Me?
Who?


I can't afford the way of living of this society.
That's the truth.
But this is also my world and I need to survive.
I'm here now.
And I'm intentioned to stay here for a long long time.
No matter who's gonna say what.

There is so much I want to do.
Or try to do.
Don't stop me now.
Please.


I won't look for a real job anymore.
That's a promise.
My life is my job.
And my passion.
And I worth it!

I don't want to have nothing to do with a society who treats people like whores.
Who rape people from time, feelings, emotions and life.
Who make them feel guilty, for their insuccess.

Success?
What is success in a society where there is no rule?
Is money?
Is power?
Is Cleverness?

But be serious.
Succes is when you live your day with dignity.
No matter who you are.
No matter what you do.

Dignity is free.
And is natural.

All we really need on this planet is free.
That's the truth.
We pay only for our ignorance.
Because we don't know.
Because we close our eyes on the problem's roots.
Which are deeper and deeper.
We accept the situation as a matter of fact.

Be honest.
Is also our fault.
And I want expiate also this.
I'm used to make amends.
I feel comfortable with pity.

I hope my illness is contagious.
I hope you are gonna say STOP.
Not in my name.
Not with my life because this is the only one that I've got.
No matter all the promises.
I wanna live my life now, not later.

And here's another question.
Aren't you tired?
Do you really think that this is the best we can do?

I don't want money.
I want nothing, except you.
By my side.
I'm here.
And you?

Where are you?
Just say hello...

:)

venerdì 8 giugno 2012

MEDITAZIONI


Dagli atrj muscosi, dai fori cadenti
Dai boschi, dall’arse fucine stridenti,
Dai solchi bagnati di servo sudor,
Un volgo disperso repente si desta;
Intende l’orecchio, solleva la testa
Percosso da novo crescente romor.

Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti,
Qual raggio di sole da nuvoli folti,
Traluce dai padri la fiera virtù;
Nei guardi, nei volti confuso ed incerto
Si mesce e discorda lo spregio sofferto
Col misero orgoglio d’un tempo che fu

S’aduna voglioso, si sperde tremante;
Per torti sentieri, con passo vagante,
Fra tema e desire, s’avanza e ristà;
E adocchia e rimira scorata e confusa
Dei crudi signori la turba diffusa,
Che fugge dai brandi, che sosta non ha.

Ansanti li vede, quai trepide fere,
Irsuti per tema le fulve criniere,
Le note latebre del covo cercar:
E quivi, deposta l’usata minaccia,
Le donne superbe, con pallida faccia,
I figli pensosi pensose guatar
E sopra i fuggenti, con avido brando,
Quai cani disciolti, correndo, frugando,
Da ritta da manca, guerrieri venir:
Li vede, e rapito d’ignoto contento,
Con l’agile speme precorre l’evento,
E sogna la fine del duro servir.

Udite! Quei forti che tengono il campo,
Che ai vostri tiranni precludon lo scampo,
Son giunti da lunge, per aspri sentier:
Sospeser le gioje dei prandj festosi,
Assursero in fretta dai blandi riposi,
Chiamati repente da squillo guerrier
Lasciâr nelle sale del tetto natío
Le donne accorate tornanti all’addio,
A preghi e consigli che il pianto troncò.
Han carca la fronte dei pesti cimieri,
Han poste le selle sui bruni corsieri,
Volaron sul ponte che cupo sonò.

A torme, di terra passarono in terra,
Cantando giulive canzoni di guerra,
Ma i dolci castelli pensando nel cor;
Per valli petrose, per balzi dirotti,
Vegliaron nell’arme le gelide notti,
Membrando i fidati colloquj d’amor.

Gli oscuri perigli di stanze incresciose,
Per greppi senz’orma le corsa affannose,
Il rigido impero, le fami durar;
Si vider le lance calate sui petti,
A canto agli scudi, rasente gli elmetti,
Udiron le frecce fischiando volar.

E il premio sperato, promesso a quei forti
Sarebbe o delusi, rivolger le sorti,
D’un volgo straniero por fine al dolor?
Tornate alle vostre superbe ruine,
All’opere imbelli dell’arse officine,
Ai solchi bagnati di servo sudor.

Il forte si mesce col vino nemico;
Col novo signore rimane l’antico;
L’un popolo e l’altro sul collo vi sta.
Dividono i servi, dividon gli armenti;
Si posano insieme sui campi cruenti
D’un volgo disperso che nome non ha.

Adelchi - Coro dell'Atto Terzo
Manzoni

PELLEGRINAZIONI DI UN'ANIMA NOTTURNA


“Niente” pensò sbuffando nel letto.
“Non c'è verso di prendere sonno”.
Si alzò, sciabattò un po' per il corridoio e raggiunse il bagno.
Tutte quelle tisane, sommate all'età che galoppa, non gli avevano fatto troppo bene.
Gliele aveva comprate la moglie il pomeriggio, preoccupata per le sue notti bianche.
Ma non c'è Tiglio, Melissa o Echinacea che possa placare i pensieri di un Uomo che Conta.

Aveva provato tutti i metodi che gli erano stati suggeriti.
E sapete che la gente si sbizzarrisce quando si tratta di dare consigli sull'insonnia (seconda solo alla stitichezza).
Aveva provato i rimedi di tutte le nonne dei suoi amici, defunte oramai da secoli.
Aveva contato le pecore.
Aveva messo persino quella ridicola benda in raso, rosa maialino, sugli occhi.
Aveva provato a mangiare leggero e pesante.
Aveva provato tutto e il contrario di tutto.

Ma odiava quel momento.

Uno degli ultimi ancora veramente liberi.
Il momento in cui ci si corica e si pensa.
In cui si cerca di essere onesti, almeno con se stessi.
Solo i cretini e i cattivi arrivati a questo punto della giornata non sanno che farsene.
Abituati a non pensare o a pensare male si sentono un po' in imbarazzo.
Ma non sta a me decidere in che categoria rientri il nostro insonne.

Ecco uscire l'Uomo che Conta dal bagno, visibilmente sconfitto.
Incerto sul da farsi guardò l'ora.
Erano le 2.45.
Solo.
Si scoraggiò.
Sbuffò.
Si sfregò gli occhi e accese la TV.
Nemmeno fare zapping pareva alleviargli il dolore.
E poi lo sapeva bene, a quell'ora tante repliche ma niente sesso.
Nemmeno una tettina uscita per sbaglio.
Parlano solo di questa Italia.
Dove tutti si lamentano sempre.
Come gli fa schifo, come non la capisce.
Non si accontentano mai.
Tutti che vogliono i soldi.
E alcuni pretendono pure di lavorare.

I vecchi gli fanno venire l'orticaria.
I pensionati lo mandano al manicomio.
Gli adulti gli fanno venire la nausea.
I giovani e le loro idee lo preoccupano.
I bambini ancora non producono, e questo lo indigna assai.
Un Uomo che Conta non ha tempo da perdere.

Alle 2.48 nauseato da quella gente, spense il televisore e prese il telefono in mano.
Provò a fare un giro di telefonate.
Nessuna risposta.
Chiamò allora un numero erotico.
Ma subito si vergognò, pensando alla crisi.
E riagganciò.
Sono secoli che non fa sesso.
L'ultima volta se la ricorda ancora.
Era il 10 giugno del 68.
Durante la rivoluzione studentesca, a cui lui naturalmente non aveva partecipato.

Rientrò in camera da letto, facendo cadere accidentalmente, ma con intenzione, una preziosa miniatura swarowski che ritraeva un elefante in castigo.
La preferita della moglie.
Dispettoso come un gatto, pensò che forse avrebbe trovato così un po' di compagnia.
O un po' di conforto.
Ma un Uomo che Conta non suscita questi sentimenti.
E forse non ne suscita affatto.

La Moglie si alzò di scatto.
Gli diede del cretino e lo punì con 4 ore di Lavori Domestici.
"Domani mattina svuoti l'armadio"
Con tutti quegli scheletri la povera donna era costretta ad andare in giro vestita a cipolla.
Anche a Ferragosto.
Non aveva nemmeno un cassettino in cui piegare le mutande e riporre i calzini.
Tutti pieni.
Quella frase lo gettò nel più pieno sconforto.
Ed erano solo le 3.27

Non avendo ottenuto nemmeno una carezza, fece un ulteriore disperato tentativo.
Entrò in cucina e aprì il frigo.
Lo richiuse.
La luce lo aveva quasi accecato tanto il riverbero.
Era vuoto.
Manco un alice sottolio.
Nemmeno una solitaria scatoletta di fagioli.
Neppure una raminga crosta di grana.
Niente.
Un Uomo che Conta non fa la Spesa.
Nemmeno si avvicina ad un supermercato.
Non aveva mangiato niente.
Ma ora aveva anche fame.

Indispettito si diresse di nuovo verso la camera da letto.
Non poteva mollare.
Doveva dormire.
Provarci perlomeno.
Affrontare il momento che tanto odiava.
Affrontare quel dubbio che lo attanagliava.
Quel pensiero ricorrente a cui non riusciva a dare risposta.

Posò gli occhiali sul comodino.
Guardò la sua immagine riflessa nelle lenti.
E pensò: "Sono Mario Monti, cazzo!"

Sono io Mario il tuo pensiero.
Io che non pago l'IMU.
Che non spendo soldi.
Che non cerco lavoro.
Che non posso essere tassata.
Che uso la bicicletta.
Che mi faccio l'orto.
Che allevo galline.
E che scrivo.

Scrivo sempre.
E dalle mie idee, non puoi cavarci un centesimo.

Mario chiuse gli occhi.
E finse di dormire.







domenica 3 giugno 2012

TESTAMENTO DI EINSTEIN


Testamento spirituale
(messaggio contro la guerra atomica)

Pochi mesi dopo la morte di Einstein, e proprio alla vigilia dell'incontro dei "Quattro Grandi" a Ginevra, Bertrand Russell rese pubblico questo "testamento spirituale" affidatogli dal grande scienziato negli ultimi suoi giorni di vita, e sottoscritto da altri sette studiosi di fama internazionale: Bridgman (Stati Uniti), "Premio Nobel" per la fisica e professore all'Università di Harvard; Infeld (Polonia), autore di "Evoluzione della Fisica" e de "Il problema del movimento"; Muller, già titolare di cattedre a Mosca e in India e professore all'Università americana dell'Indian, "Premio Nobel" per la fisiologia e la medicina; Powell (Gran Bretagna), professore di fisica all'Università di Londra; lo stesso Bertrand Russell, "Premio Rotolatt"; Hideki Kukawa (Giappone), professore all'Università di Tokyo, "Premio Nobel" per la fisica.
Tra i firmatari della solenne dichiarazione relativa alle armi nucleari si trova anche Frederic Joliot Curie, che aderì tuttavia all'ammonimento con due riserve

"In considerazione del fatto che in ogni futura guerra mondiale verrebbero certamente impiegate armi nucleari e che tali armi mettono in pericolo la continuazione stessa dell'esistenza dell'umanità, noi rivolgiamo un pressante appello ai governi di tutto il mondo affinché si rendano conto e riconoscano pubblicamente che i loro obbiettivi non possono essere perseguiti mediante una guerra mondiale e li invitiamo, di conseguenza, a cercare mezzi pacifici per la soluzione di tutte le questioni controverse tra loro.
Nella tragica situazione in cui l'umanità si trova di fronte noi riteniamo che gli scienziati debbano riunirsi in conferenza per accertare i pericoli determinati dallo sviluppo delle armi di distruzione di massa e per discutere una risoluzione nello spirito del progetto annesso. Parliamo in questa occasione non come membri di questa o quella Nazione, Continente o Fede, ma come esseri umani, membri della razza umana, la continuazione dell'esistenza della quale è ora in pericolo.
Il mondo è pieno di conflitti e, al di sopra di tutti i conflitti minori, c'è la lotta titanica tra il comunismo e l'anticomunismo. Quasi ognuno che abbia una coscienza politica ha preso fermamente posizione in una o più di tali questioni, ma noi vi chiediamo, se potete, di mettere in disparte tali sentimenti e di considerarvi solo come membri di una specie biologica che ha avuto una storia importante e della quale nessuno di noi può desiderare la scomparsa.
Cercheremo di non dire nemmeno una parola che possa fare appello a un gruppo piuttosto che a un altro. Tutti ugualmente sono i pericolo e se questo pericolo è compreso vi è la speranza che possa essere collettivamente scongiurato. Dobbiamo imparare a pensare in una nuova maniera: dobbiamo imparare a chiederci non quali passi possono essere compiuti per dare la vittoria militare al gruppo che preferiamo, perché non vi sono più tali passi; la domanda che dobbiamo rivolgerci è: "quali passi possono essere compiuti per impedire una competizione militare il cui esito sarebbe disastroso per tutte le parti?".
L'opinione pubblica e anche molte persone in posizione autorevole non si sono rese conto di quali sarebbero le conseguenze di una guerra con armi nucleari. L'opinione pubblica ancora pensa in termini di distruzione di città. Si sa che le nuove bombe sono più potenti delle vecchie e che mentre una bomba atomica ha potuto distruggere Hiroshima, una bomba all'idrogeno potrebbe distruggere le città più grandi come Londra, New York e Mosca. È fuori di dubbio che in una guerra con bombe all'idrogeno le grandi città sarebbero distrutte; ma questo è solo uno dei minori disastri cui si andrebbe incontro.
Anche se tutta la popolazione di Londra, New York e Mosca venisse sterminata, il mondo potrebbe nel giro di alcuni secoli riprendersi dal colpo; ma noi ora sappiamo, specialmente dopo l'esperimento di Bikini, che le bombe nucleari possono gradatamente diffondere la distruzione su un'area molto più ampia di quanto si supponesse. È stato dichiarato da una fonte molto autorevole che ora è possibile costruire una bomba 2500 volte più potente di quella che distrusse Hiroshima.
Una bomba all'idrogeno che esploda vicino al suolo o sott'acqua invia particelle radioattive negli strati superiori dell'aria. Queste particelle si abbassano gradatamente e raggiungono la superficie della terra sotto forma di una polvere o pioggia mortale. Nessuno sa quale ampiezza di diffusione possano raggiungere queste letali particelle radioattive, ma le maggiori autorità sono unanimi nel ritenere che una guerra con bombe all'idrogeno potrebbe molto probabilmente porre fine alla razza umana.
Si teme che, qualora venissero impiegate molte bombe all'idrogeno, vi sarebbe una morte universale, immediata solo per una minoranza, mentre per la maggioranza sarebbe riservata una lenta tortura di malattie e disintegrazione.
Molti ammonimenti sono stati formulati da personalità eminenti della scienza e da autorità della strategia militare.
Nessuno di essi dirà che i peggiori risultati sono certi: ciò che essi dicono è che questi risultati sono possibili e che nessuno può essere sicuro che essi non si verificheranno. Non abbiamo ancora constatato che le vedute degli esperti in materia dipendano in qualsiasi modo dalle loro opinioni politiche e dai loro pregiudizi. Esse dipendono solo, per quanto hanno rivelato le nostre ricerche, dalle estensioni delle conoscenze particolari del singolo. Abbiamo riscontrato che coloro che più sanno sono i più pessimisti.
Questo, dunque, è il problema che vi presentiamo, netto, terribile e inevitabile: dobbiamo porre fine alla razza umana oppure l'umanità dovrà rinunciare alla guerra? È arduo affrontare questa alternativa perché è così difficile abolire la guerra. L'abolizione della guerra chiederà spiacevoli limitazioni della sovranità nazionale, ma ciò che forse ostacola maggiormente la comprensione della situazione è che il termine "umanità" appare vago e astratto, gli uomini stentano a rendersi conto che il pericolo è per loro, per i loro figli e i loro nipoti e non solo per una generica e vaga umanità.
È difficile far sì che gli uomini si rendano conto che sono loro individualmente e i loro cari in pericolo imminente di una tragica fine.
E così sperano che forse si possa consentire che le guerre continuino purché siano vietate le armi moderne. Questa speranza è illusoria.
Per quanto possano essere raggiunti accordi in tempo di pace per non usare le bombe all'idrogeno, questi accordi non saranno più considerati vincolanti in tempo di guerra ed entrambe le parti si dedicheranno a fabbricare bombe all'idrogeno non appena scoppiata una guerra, perché se una delle parti fabbricasse le bombe e l'altra no, la parte che le ha fabbricate risulterebbe inevitabilmente vittoriosa.
Sebbene un accordo per la rinuncia alla armi nucleari nel quadro di una riduzione generale degli armamenti non costituirebbe una soluzione definitiva, essa servirebbe ad alcuni importanti scopi.
In primo luogo ogni accordo tra est e ovest è vantaggioso in quanto tende a diminuire la tensione internazionale. In secondo luogo, l'abolizione delle armi termonucleari, se ognuna delle parti fosse convinta della buona fede dell'altra, diminuirebbe il timore di un attacco improvviso del tipo di Pearl Harbour che attualmente tiene le parti in uno stato di apprensione nervosa.
Saluteremo perciò con soddisfazione un tale accordo, anche se solo come primo passo. La maggior parte di noi non è di sentimenti neutrali, ma come esseri umani dobbiamo ricordare che affinché le questioni fra Est e Ovest siano decise in modo da dare qualche soddisfazione a qualcuno, comunista o anticomunista, asiatico, europeo o americano, bianco o nero, tali questioni non devono essere decise con la guerra. Desideriamo che ciò sia ben compreso sia in oriente che in occidente. Se vogliamo, possiamo avere davanti a noi un continuo progresso in benessere, conoscenze e saggezza. Vogliamo invece scegliere la morte perché non siamo capaci di dimenticare le nostre controversie?
Noi rivolgiamo un appello come esseri umani ad esseri umani: ricordate la vostra umanità e dimenticate il resto. Se sarete capaci di farlo vi è aperta la via di un nuovo Paradiso, altrimenti è davanti a voi il rischio della morte universale".

DISCORSO SULL'INEGUAGLIANZA


Ricordo che arrivata ad un certo punto del programma scolastico, la mia professoressa di lettere, iniziò a spiegare il mito (che mito non è) del “Buon Selvaggio”.
Lo riassunse liquidandolo con poche parole.
Erano uomini che volevano vivere in mezzo alla natura e al di fuori della società, ipotizzando un ritorno alle caverne.
Pensai che fosse un po' come “Mollo tutto e mi apro un baretto in riva al mare, e vaffanculo.”,
Una cosa del genere, niente di più.

Mi piaceva imparare ma distratta com'ero da mille materie diverse non riuscivo mai a concentrarmi e ad approfondirne nessuna.
Ora che me lo posso permettere sono tornata a dare un'occhiata a questo Buon Selvaggio.
Chissà che non abbia ancora qualcosa da dire.

Un certo Rousseau nel 1755 doveva avere avuto un bel da fare a difendere questa  sua teoria, tanto che nello stesso anno risponde immediatamente ad un bando di concorso indetto dall'Accademia di Digione che domandava se l'ineguaglianza fosse naturale.
Jean-Jacques pensò “col cazzo” e si mise a scrivere un discorso che sarebbe passato alla storia, inascoltato, come sempre.
L'ineguaglianza va a braccetto con la società, non con la natura.
Una società profondamente sbagliata, addirittura illegittima, perché nociva all'Uomo.

Sbagliavo.
Jean-Jacques non lo voleva proprio un baretto sulla spiaggia.

In natura gli uomini sono tutti uguali e agiscono in base a due semplici principi che sono l'autoconservazione e l'incapacità di veder soffrire i propri simili.
Vogliamo negarlo?
Anche negli animali sono presenti questi istinti e Jean-Jacques infatti si preoccupa anche di loro, dicendo che pur non essendo intelligenti, sono sensibili, e non meritano di essere maltrattati inutilmente.

Tito sorride e mi guarda in cagnesco.

Esiste una diseguaglianza naturale è vero, ma è talmente tanto leggera e minima che non merita di essere né spiegata, né legittimata.
A Jean-Jacques non interessava il colore della pelle, la forma degli occhi o il taglio di capelli.
Jean-Jacques era interessato ad un'altra diseguaglianza, quella morale.
Lei era la vera colpevole.
Lei e il suo strascico di privilegi.

In principio l'Uomo doveva essere un gran figo.
Autosufficiente, isolato dagli altri e con braccia rese forti dal confronto con la natura, non muscolose da una palestra.
Aveva pochissime necessità: cibo, donne e tempo per riposare.
Se c'era un problema, i pochi strumenti a sua disposizione lo incoraggiavano ad aguzzare l'ingegno, insieme alle pietre.
L'arte di arrangiarsi è da sempre l'unica arte di cui sia capace l'Uomo.
La natura lo aveva destinato ad essere robusto e di sana costituzione senza medici ne medicine.

Pare che gli unici a lamentarsi della loro condizione siano sempre questi uomini civili, un Buon Selvaggio non è mai stanco della vita.

Era poco differente da un animale, è vero, ma aveva due caratteristiche particolari e uniche nel loro genere: il libero arbitrio ovvero la capacità di volere e la capacità di migliorarsi.
Quest'ultima a Jean-Jacques non andava proprio giù.
Lei e la proprietà privata erano l'inizio della sofferenza.
Non li sopportava e per la regola del “al peggio non c'è mai fine”, queste non erano che la punta dell'iceberg.

Il Buon Selvaggio ad un certo punto inizia a fare una leggera variazione, abbandona la strada principale e prende una scorciatoia.
Spinto dalle difficoltà della natura inizia a desiderare strumenti e comincia a riunirsi.
Gli incontri erano ad ogni modo sporadici e finalizzati alla caccia.
Una volta presa la preda, ognuno tornava a casa sua.
Tutti avevano una casa, lo spazio era in abbondanza.

Dall'incontro con gli altri nascono i primi paragoni, alto-basso, grande-piccolo.

Nascono le prime famiglie e la necessità di comunicare i propri sentimenti.
L'Uomo abbozza così un arcaico “ti amo”.
Ma nascono anche gli agi, i comfort come ci piace chiamarli oggi.
Il superfluo tende a trasformarsi presto in abitudine e nulla allora ci accontenta più.
Anche l'Amore finisce col diventare possessivo e geloso.
E dal troppo amore all'odio pieno è un attimo.
A fare infuriare l'Uomo non erano solo i 2 di picche, ma la necessità di essere stimato dagli altri.

Proprio come oggi.
Nessuna differenza.

I conflitti si fanno sempre più accesi e duraturi.
La pietà non bastava più, o era già scomparsa, urgeva una soluzione.
Un sostituto.

Si stava ancora abbastanza bene comunque.
Si viveva con dignità delle proprie azioni.
Ad un certo punto pare che la scorciatoia si riveli come spesso succede più lunga di quello che si pensava.
L'Uomo inizia a camminare più veloce.
Troppo veloce.

Con l'invenzione dell'agricoltura e della metallurgia cosa accade?
Accade che c'era bisogno di tanti uomini per lavorare il metallo ed altrettanti uomini che dovevano lavorare nei campi per sfamarli.
Si saluta l'Indipendenza.
Si da il via all'Interdipendenza.
Dall'agricoltura nasce la divisione delle terre, alcuni si ritrovano a prendere di più altri di meno.

Il confronto è ora salito a ricco-povero.
Nasce la vanità.

Ma oltre al Ricco e al Povero esisteva ancora una terza categoria, l'Uomo naturale che aveva conservato la sua mentalità ed era stato per questo taglato fuori dai giochi.
L'Uomo affamato iniziò a rubare ciò che prima era suo.
A uccidere, se necessario pur di sfamare il suo Amore e la sua famiglia.
Non voleva deluderli.
Rubava ai ricchi (e a chi se no?) innescando così una guerra permanente.
E i Ricchi che erano i soli ad aver qualcosa da perdere decisero di inventare la Legge.
E dove c'è una legge c'è sempre una punizione, mai un premio.

I Ricchi si tutelano e i Poveri perdono l'ultima cosa che gli era rimasta, la Libertà.

Chi trova una Legge, trova un Giudice.
E la divisione aumenta ancora, da ricco-povero a potente-debole.

Questi Giudici si credono talmente intelligenti da stabilire che la loro bravura fosse ereditaria.
Perché perdere tempo a eleggere qualcun altro quando si poteva traferire il potere di generazione in generazione.
Perché, in fondo, dividere tutto ciò?

Ecco aumentarlo ancora...
Il divario raggiunge il padrone-servo.

Jean-Jacques odiava il denaro.
Il grado di corruzione di una Nazione era misurabile in base alla sua ricchezza.
Più si era ricchi più si era distanti dalla realtà.

L'estrema disuguaglianza porta ad una società dove il pane quotidiano sono le guerre, la miseria e la menzogna.
Si innesca il diabolico Homo Homini Lupus.
Il despota comanda e gli altri obbediscono.
L'Uomo perde ogni suo diritto e ogni suo pensiero.
Vive costantemente fuori di sé all'interno dell'opinione altrui.

Arrivati a certi livelli il tutto secondo Jean-Jacques si dissolverà.
Il sistema cadrà per uno dei suoi dogmi.
Quando l'Uomo capirà cosa gli è stato fatto si incazzerà.
Oh se si incazzerà.

E io arrivata a questo punto inizio a domandarmi al quando.
Quando tutto avrà di nuovo inizio?
sabato 2 giugno 2012

DATEMI UNA ZAPPA...

Devo pensare per me...
Pare che questo sia l'unico modo per stare al Mondo.
E così è sempre stato, temo, a giudicare dai risultati.
Chi è venuto prima di me deve senz'altro essersi preoccupato dei suoi bisogni a tal punto, da non lasciarmi più niente.
Non avrò una pensione anche se pago i contributi.
Le mie tasse non saranno mai spese per il mio "benessere" ma per pagare debiti altrui.
Lavorerò solo per il gusto di lavorare perché i posti migliori sono tutti presi e a noi rimane la bassa manovalanza.

Ho deciso così di coltivarmi un orto.
Ho un terreno inutilizzato.
Due braccia che funzionano.
Tanti semi che potrei coltivare anche la Luna.
Voglia di fare.
Un cervello che pensa, finalmente, che pensa e che sa.

Ma intorno a me non trovo appoggio.
Non che mi interessi, oramai sono convintissima della mia idea.
E' che non trovo uno sfogo pratico nella realtà.
E alla lunga è frustrante.

Sono sempre stata corretta.
Indirizzata su una strada che non mi convinceva, ma su cui viaggiavano tutti.
Sono stata costretta a dubitare delle mie idee per vantaggi promessi.
Non ho mai avuto vantaggio.
Mi sono sempre sentita indietro.
E ora che non voglio più stare nell'ombra di niente e nessuno mi chiamano matta.

Non sono matta.

Il punto è che non voglio lavorare per qualcun'altro.
Vorrei che la mia fatica, il mio tempo e le mie idee tornassero da me.
Non voglio più buttarle al vento. 

Trovare un lavoro è impossibile.
E a chi dice che c'è l'imbarazzo della scelta vorrei mandarlo a decidere tra il pulire dei polli morti o il lavoro in una fabbrica chimica, è vero ti pagano un po' di più, ma ti respiri della merda che è meglio se non ci pensi. 
Ma le persone parlano di cose che non sanno.
Parlano per sentito dire.
Perché fa fine dire così o vivere in una determinata maniera più che in un'altra.

Bisogna lavorare.
Avere una casa dignitosa.
Potersi permettere gli imprevisti.
Risparmiare.
...

Già.
Belle parole.
Ma se manca il lavoro?
Se quello non c'è?
Se i soldi per le fasce basse della popolazione, quelle che non contano un cazzo, non ci sono?
Come si fa?

Ora che sono al mondo e che esisto e vivo come faccio se non ho soldi?
Ci deve pur essere un'alternativa.
Un modo diverso di vivere la vita.
Che mi permetta di avere una famiglia.
Che mi permetta di mettere al mondo un bimbo.
Che mi permetta di annullare questo cazzo di costo della vita per me e per chi verrà dopo di me.

A conti fatti con uno stipendio di 1000 euro cagati se vuoi vivere per conto tuo, per dignità, non ce la fai.
Non arrivi a metà mese.

Questo Mondo non è fatto per i giovani.
A furia di rimandare, di perseverare nella politica dell'egoismo e di accettare tutto ciò che ci capita con una totale indifferenza non sono rimaste che le briciole per noi.
Cosa ci si fa con una briciola?
Come ci si sente a non potere sperare mai in nulla di buono?

Ci si sente male.
Ecco come ci si sente.
Ci si sente esauriti.

Sono andata fino in Portogallo per cercare di cambiare vita.
Ma tutto il mondo è davvero paese.
Ho visto gente che non aveva i soldi per mangiare.
Ragazzi costretti a una noia forzata.
Disoccupati o stanchi morti la sera, dopo una giornata vissuta come una bestia, non come un uomo.

Si fa presto a parlare.
Ci vuole proprio poco tempo a dire ad un'altra persona cosa dovrebbe fare.
Ma non ci si mette mai nei suoi panni.
Se non lavora è uno svogliato.
Non ha voglia di rimboccarsi le maniche.
Ai miei tempi (e vi prego tappatevi le orecchie quando una frase inizia in questo modo) bastava la voglia di fare.
Ci vogliono i sacrifici.
Bisogna, bisogna, bisogna... 

Bisogna cosa?

Uno fa quello che può.
Ma se non può fare niente la situazione finisce coll'essere un tantino imbarazzante.
Che ne dite?

E io posso solo fare un orto.
Grande.
Gigantesco.
E regalare a tutti quelli che hanno fame un po' delle (mie) verdure.
E' sbagliato?

Non è produttivo, ma è sbagliato?


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