lunedì 30 luglio 2012

Come vedo il mio futuro





domenica 29 luglio 2012

Le olimpiadi delle paranoie.


Lo confesso, sono un po' tesa per le Olimpiadi di Londra.
Sarà che la XXX edizione solo dal numero mi mette un po' in allarme.
Sarà che in quel logo in effetti sembra proprio esserci scritto Sion, pure col puntino sulla i.

Sarà che le multinazionali in questi giochi la fanno da padrona, con massicci sovvenzionamenti e severissime regolamentazioni sull'uso del marchio da parte di privati.
(Le olimpiadi col copyright, mi domando come non ci sia venuta prima questa brillante idea.)
Sarà che le psicografie di Parravicini sono davvero sconcertanti e in passato ci ha "acchiappato" molte volte.
Sarà che quando il CIO ha deciso che si sarebbe giocato a Londra, manco il tempo di festeggiare che, il giorno dopo... un attentato (quello del 7 luglio 2005).
Sarà che hanno costruito dei bunker per i VIP all'interno dello Stadio Olimpico.
Sarà che Israele è già in pieno allarme per l'attentato in Bulgaria, memori del non troppo lontano '72.
Sarà che la Russia ha mosso già parte del suo esercito (in tempi non sospetti) lungo il confine con l'Iran perché temono una guerra imminente prima della fine dell'estate.
Sarà che gli Iraniani sembrano essersi rivelati degni eredi dei fantomatici terroristi Afghani.
Sarà che il gruppo Rockfeller ha previsto 13000 vittime anche se ancora non mi sembra vero di averlo letto. 
Sarà che gli Stati Uniti non hanno più manco gli occhi per piangere e hanno bisogno di rimpolpare la loro economia.
Sarà che le guerre sul pianeta attive, anche se fingiamo di essere in tempi di pace, pare siano incalcolabili (non ho trovato una fonte attendibile a riguardo e comunque anche una sarebbe già troppo).
E se a questo si aggiunge che le guerre sono un affare assai ghiotto per qualcuno tanto che pure il Vaticano investe in armamenti.
Sarà che vedo la democrazia in Europa finire e sono timorosa per cosa verrà dopo.
Sarà che siamo nel 2012 e sto anno non ce la racconta giusta.
Sarà che dai, siamo onesti, non abbiamo tra tutti una gran bella cera.
Sarà che qualcuno un giorno disse "ai tempi del fascismo non sapevo di vivere ai tempi del fascismo",
Sarà che un pezzo di Grana vale, quand'è in offerta, 2 ore di lavoro.

Sarà quel che sarà.
Continuiamo pure la nostra domenica pomeriggio..:


domenica 22 luglio 2012

NUVOLE





EL PUEBLO UNIDO...


Vorrei raccontarvi dell'infanzia di quest'uomo.
Vorrei raccontarvi dei suoi primi discorsi da adulto.
Appena uscito dal liceo inforcava la bicicletta e si dirigeva a tutta birra verso la bottega del calzolaio.
Il calzolaio era di origini italiane e si chiamava Giovanni de Marchi.
Si era trasferito in Cile da ragazzo, a soli 26 anni.
Anarchico per vocazione, era fuggito da Torino nel 1893 ed era approdato a Valparaiso, dove cambiò il suo nome, nel più latino, Juan de Marchi.
Parlavano di politica, tra una scarpa da risuolare e l'altra.
Parlavano del Cile e del Mondo.
Parlavano dei problemi dei lavoratori.
Giocavano anche a scacchi. e spesso Juan prestava dei libri al giovane Salvador.
Quanto gli hanno tenuto compagnia la sera.
Quanto avrebbe voluto imparare sempre più.
Sempre più.
Sempre più.
Sino a ritrovarsi finalmente preparato per il suo discorso più importante.
Quello che avrebbe tenuto al popolo in veste di neoeletto presidente del Cile.
Quante ore sacrificate per quel momento.
Tre tentativi falliti e nessuna rinuncia da parte sua.
In direzione ostinata e contraria.
Voleva portare il benessere tra il suo popolo.
Voleva finalmente che tutti fossero felici.
Promosse una riforma agraria e la nazionalizzazione delle banche.
E non solo, decise che bisognava andare oltre.
Occorreva che il Cile si riappropriasse della sua risorsa naturale più importante: il Rame.
All'epoca il commercio del Rame era in mano a capitale straniero, a corporazioni americane come l'Anaconda e la Kennecott.
Salvador pensava che fosse giusto che il suo popolo fosse lasciato libero di decidere della propria terra.
Voleva che la democrazia fosse sociale.
Voleva tante cose, troppe per qualcuno.
Nixon, nel frattempo nella camera ovale discuteva animatamente sulla situazione Cilena.
Questo tizio aveva attirato su di sé un grande fermento.
Iniziava ad avere successo.
Lo avevano screditato sin dal suo esordio in politica, finanziando segretamente la campagna elettorale dell'avversario di turno.
Avrebbero preferito Hitler a lui, probabilmente.
Lui che incarnava tutte le loro più grandi paure.
Lui.
Un Marxista in Latino America.
Bisognava fermare quell'uomo.
Bisognava (e cito) "fare tutto il necessario per danneggiarlo e farlo cadere, quel figlio di puttana va schiacciato con qualsiasi mezzo". 
Tali le parole di disprezzo di quella che ama definirsi la migliore democrazia del mondo.
Ma Salvador non aveva paura.
Era inarrestabile ed era appoggiato dal suo popolo che sapeva di aver trovato colui che per primo aveva avuto il coraggio di mordere la mano del padrone.
E non solo, osava persino parlare a tipi malvisti come Péron, per non citare le chiacchierate con Fidel.
Per di più in spagnolo, in quella lingua che Nixon non era mai riuscito ad imparare e che gli dava sempre l'impressione di essere, come dire, allegra.
Lui anglosassone DOP non poteva tollerare che questo avvenisse proprio sotto il suo governo.
Era un insulto al suo "buon" nome.
La CIA fu sguinzagliata per ordire niente popò di meno che un golpe, in Cile, in terra straniera!
Ma non solo, tirarono fuori l'arma letale, l'arma più subdola e micidiale che esista: l'economia.
A questo punto entra in gioco un personaggio che definire losco è fargli veramente un complimento, un certo Milton Friedman.
A Milton noto economista e fondatore, nonché fervente sostenitore, della dottrina neoliberista, venne dato persino un Nobel.
Per me tanto potrebbe bastare a definire questo premio un insulto all'intelligenza umana ed evidentemente la pensava come me anche il tizio, che durante la premiazione, si alzò in piedi indignato e iniziò a urlare "Milton go home".
Il tutto sdrammatizzato da un imbarazzato sorriso dei presenti. 
Ma questa è un'altra storia.
Friedman diede ordini ben precisi a Nixon.
Finsero una apertura "culturale" e presero nel tranello alcuni dei più brillanti studenti delle università cilene.
Dicevano che li avrebbero indottrinati, perdonate, volevo dire, istruiti per bene e glieli avrebbero restituiti più in gamba che mai.
Li riempirono fino alla nausa di neoliberismo e li spedirono al mittente.
Una bomba pronta ad esplodere.
Una seme marcio fu gettato nell'economia cilena ed innaffiato con una serie di manovre a tenaglia che partivano da wall street.
Fecero cadere il prezzo del rame e piegarono in men che non si dica l'economia di un intero paese.
Da dentro intanto gli studenti neoliberisti che nel frattempo erano arrivati a posizioni di prestigio, offrivano soluzioni incredibili.
Ma loro erano gli esperti e questo bastava.
La società cilena fu ridotta in ginocchio sotto gli occhi esterrefatti e impotenti di Salvador.
Lui che aveva promesso la prosperità si trovava ora a risolvere una situazione che non aveva creato.
Fu accusato di farsela con i Sovietici e agli occhi del Mondo apparve come uno degli uomini più pericolosi mai esistiti.
Il demonio, per non dire peggio.
Lui che era anarchico e manco avrebbe voluto tutto quel potere se non fosse stato necessario.
Necessario a cambiare le sorti di un intero popolo.
Il popolo che ora, alla fame, pensava forse ad una guerra civile.
Nixon aveva pronto nell'ombra il suo asso nella manica, Augusto Pinochet Ugarte che fu nominato capo delle forze armate cilene.
Quando si dice l'uomo giusto al posto giusto.
Salvador fece buon viso a cattivo gioco e dichiarò pubblicamente la sua fiducia al nuovo generale.
Nel frattempo in strada si fomentava il panico, con incursioni di vere bande militari, che fecero i propri comodi davanti agli occhi della popolazione inerme.
La dottrina dello shock imperversava per le strade di Santiago.
La situazione era diventata incontrollabile.
Qualcosa di tremendo era nell'aria, qualcosa di tremendo e pericoloso.
All'improvviso, ma nemmeno tanto, le forze armate dichiararono il governo illegittimo.
Salvador doveva andarsene.
Lasciare il suo incarico e il suo Paese.
Ma Salvador non voleva, non poteva permettere che ciò avvenisse.
Doveva riuscire a far capire al suo popolo che non era sua la colpa di quella situazione.
Che lui era un brav'uomo.
E che il Cile doveva rimanere unito e difendersi.
Prese in mano il microfono della radio e salutò per l'ultima volta la sua gente, con un accorato appello che lo farà vivere per sempre.


11 Settembre 1973
h. 9.10 AM

Sicuramente questa sarà l'ultima opportunità in cui posso rivolgermi a voi. La Forza Aerea ha bombardato le antenne di Radio Magallanes. Le mie parole non contengono amarezza bensì disinganno. Che siano esse un castigo morale per coloro che hanno tradito il giuramento: soldati del Cile, comandanti in capo titolari, l'ammiraglio Merino, che si è autodesignato comandante dell'Armata, oltre al signor Mendoza, vile generale che solo ieri manifestava fedeltà e lealtà al Governo, e che si è anche autonominato Direttore Generale dei carabinieri. Di fronte a questi fatti non mi resta che dire ai lavoratori: Non rinuncerò!
Trovandomi in questa tappa della storia, pagherò con la vita la lealtà al popolo. E vi dico con certezza che il seme affidato alla coscienza degna di migliaia di Cileni, non potrà essere estirpato completamente. Hanno la forza, potranno sottometterci, ma i processi sociali non si fermano né con il crimine né con la forza. La storia è nostra e la fanno i popoli.
Lavoratori della mia Patria: voglio ringraziarvi per la lealtà che avete sempre avuto, per la fiducia che avete sempre riservato ad un uomo che fu solo interprete di un grande desiderio di giustizia, che giurò di rispettare la Costituzione e la Legge, e cosi fece. In questo momento conclusivo, l'ultimo in cui posso rivolgermi a voi, voglio che traiate insegnamento dalla lezione: il capitale straniero, l'imperialismo, uniti alla reazione, crearono il clima affinché le Forze Armate rompessero la tradizione, quella che gli insegnò il generale Schneider e riaffermò il comandante Ayala, vittime dello stesso settore sociale che oggi starà aspettando, con aiuto straniero, di riconquistare il potere per continuare a difendere i loro profitti e i loro privilegi.
Mi rivolgo a voi, soprattutto alla modesta donna della nostra terra, alla contadina che credette in noi, alla madre che seppe della nostra preoccupazione per i bambini. Mi rivolgo ai professionisti della Patria, ai professionisti patrioti che continuarono a lavorare contro la sedizione auspicata dalle associazioni di professionisti, dalle associazioni classiste che difesero anche i vantaggi di una società capitalista.
Mi rivolgo alla gioventù, a quelli che cantarono e si abbandonarono all'allegria e allo spirito di lotta. Mi rivolgo all'uomo del Cile, all'operaio, al contadino, all'intellettuale, a quelli che saranno perseguitati, perché nel nostro paese il fascismo ha fatto la sua comparsa già da qualche tempo; negli attentati terroristi, facendo saltare i ponti, tagliando le linee ferroviarie, distruggendo gli oleodotti e i gasdotti, nel silenzio di coloro che avevano l'obbligo di procedere.
Erano d'accordo. La storia li giudicherà.
Sicuramente Radio Magallanes sarà zittita e il metallo tranquillo della mia voce non vi giungerà più. Non importa. Continuerete a sentirla. Starò sempre insieme a voi. Perlomeno il mio ricordo sarà quello di un uomo degno che fu leale con la Patria.
Il popolo deve difendersi ma non sacrificarsi. Il popolo non deve farsi annientare né crivellare, ma non può nemmeno umiliarsi.
Lavoratori della mia Patria, ho fede nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi. Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l'uomo libero, per costruire una società migliore.
Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori!
Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà invano, sono certo che, almeno, sarà una lezione morale che castigherà la fellonia, la codardia e il tradimento.




...JAMAS SERA VENCIDO!



Scusa ma sono di corsa, devo andare a una festa...

Mi piacerebbe parlare alla gente di persona.
Non so come mai, ma a voce, come dire, rendo di più.
La prima volta che ho assistito ad uno spettacolo a teatro mi sono emozionata.
E' stato commovente, in piena adolescenza e abituata solo al cinema, vedere quelle persone muoversi e parlare davanti ai miei occhi.
Ero immersa nell'atmosfera che erano riusciti a creare dal nulla.
Recitavano per me e con me.
C'era uno scambio di energie che al cinema non si può avere.
Lo schermo raffredda tutto.
Ecco perché anche le mie parole ho paura che giungano già fredde a colui che legge.
Ecco il mio timore.

Ma è difficile parlare con le persone oggi.
Quelli che chiamano social network hanno avuto il risultato di allontanarci.
Vicini di casa che si parlano via facebook, un po' per pigrizia, un po' per la consueta esigenza di apparire.
Amici che si mandano i cuoricini e si dicono che si mancano quando abitano a tre passi di distanza.
Scusatemi, forse lo stiamo usando male?
Non è che qualcosa non torna?
Se mi avvicinassi a qualcuno per la strada e gli chiedessi se ha voglia di fare una chiacchierata con me, probabilmente mi denuncerebbero per molestie.
Ma come parlare su facebook di cose, come dire, intelligenti?
Come si fa?

Non posso nemmeno permettermi il lusso di organizzare un qualsiasi tipo di conferenza.
Innanzitutto non sarebbe il posto giusto al genere di conversazione, e poi chi sono io per indire addirittura una conferenza?
Eppure un po' di cose vorrei spiegarvele.
Vorrei incuriosirvi.
Ingolosirvi.
Ma come fare?
Come riuscire a distogliere la vostra attenzione dai tanti divertimenti e farvi passare una serata con me sotto le stelle?
A parlare di noi.
Delle nostre vite.
Dei nostri dubbi.
Passare un po' di tempo a meditare, questo sarebbe davvero controcorrente oggi.

Ma non la meditazione da film di serie b.
Non quel tipo di meditazione da manualetto.
Non la meditazione a vuoto, 20 minuti, prima di andare a dormire.
Non quella.
Meditare sulle nostre cose, sulle nostre scelte, sul nostro destino.
Sulle cose di cui non si può parlare in una discoteca, nemmeno se si volesse.
Sulle cose a cui nessuno dedica più la benché minima attenzione.
Sulle cose importanti.
Quelle che riguardano la nostra vita.

Ma noi no.
Via di corsa dai pensieri.
Via per carità, non vogliamo mica rovinarci la serata?
Non abbiamo tempo da perdere.
Il sabato sera chiama, e i locali si riempiono di vuoto.
Pensandoci bene dovrei farmi pagare e cara per giunta.
Forse così guadagnerei il valore che ora non ho.
Intanto oggi la ragione sta dalla parte di chi ha più soldi.
Il gioco si vince così.
Ma non reggerei un secondo, lo ammetto.
Non posso farmi pagare per il mio tempo, non potrei accettarlo, ne da un capo ne da un cliente.

E poi io non offro niente.
Parole e aria.
Niente di più.
Non offro soluzioni, ne cambiamenti radicali di vita, ne garanzie, ne sicurezza, ne ricchezza, ne fortuna.
Niente.
Offro solo un po' del mio tempo.
Il bene più costoso.
Chissà.
Io non mi arrendo.

Ciao Gente.
sabato 21 luglio 2012

OSHO DOCET


OSHO, QUAL È STATA LA PRIMA COSA CHE HAI FATTO DOPO ESSERTI ILLUMINATO?



OSHO:
Ho riso. Mi sono fatto una bella risata nel vedere la totale assurdità dei tentativi di illuminarsi. È davvero ridicolo, perché noi siamo nati illuminati ed è assolutamente assurdo sforzarsi tanto verso qualcosa che già siamo. 

"Se già hai una cosa non la puoi raggiungere; solo le cose che non si hanno, quelle che non sono parti intrinseche del nostro essere, possono essere conseguite. Ma essere illuminati è parte della nostra natura.

Per vite intere ho lottato, quello è stato il mio scopo per molte, molte vite. Ho fatto tutto ciò che era umanamente possibile per realizzare l’illuminazione, ma ho sempre fallito. 

Era inevitabile, perché l’illuminazione non può essere una conquista. È la nostra natura, come può essere conquistata? Non può essere motivo di ambizione.

La mente è ambiziosa, ambisce il denaro, il potere, il prestigio. Poi un giorno, quando si stanca di tutte queste attività estroverse, comincia ad ambire l’illuminazione, la liberazione, il nirvana e dio. 

Ma si tratta della stessa ambizione che ritorna, solo l’oggetto è cambiato. Prima l’oggetto era all’esterno, ora è all’interno. Ma l’atteggiamento, l’approccio, non è cambiato: tu sei la stessa persona, sullo stesso percorso, con le stesse abitudini.

‘Il giorno in cui mi sono illuminato’ significa semplicemente il giorno in cui ho scoperto che non c’è nulla da raggiungere, non c’è nessun posto dove andare e non c’è nulla da fare. Noi siamo divini, siamo già perfetti, così come siamo. 

Non è necessario alcun miglioramento, assolutamente nessuno. Dio non ha mai creato nulla di imperfetto e se anche incontrate un uomo imperfetto, vedrete che la sua imperfezione è perfetta. Dio non ha mai creato nulla di imperfetto.

Quando dico “Il giorno in cui ho conseguito l’illuminazione”, uso un linguaggio improprio, ma non esiste altra possibilità di espressione, perché il linguaggio è stato creato da noi. È composto da parole come ‘conseguimento’, ‘traguardo’, ‘miglioramento’, ‘progresso’ ed ‘evoluzione’. 

Il nostro linguaggio non è stato creato da persone illuminate; non avrebbero potuto farlo anche se lo avessero voluto, perché l’illuminazione accade in silenzio. Come si può tradurre quel silenzio in parole? Qualunque cosa si faccia, le parole distruggono qualcosa di quel silenzio.

Lao Tzu dice: “Nel momento in cui la verità viene espressa, diventa falsa.” Non è possibile comunicare la verità. Si è costretti d usare il linguaggio, non c’è altro modo per comunicare. Quindi si userà il linguaggio, sapendo che non è adeguato all’esperienza.

Per cui dico ‘Il giorno in cui ho conseguito l’illuminazione’ ma in realtà non c’è alcun conseguimento, né c’è nulla di mio.

[A questo punto mentre Osho parla viene a mancare la corrente: tutto è buio e silenzio]

Ecco accade così! Dal nulla, all’improvviso il buio, all’improvviso la luce e non ci puoi fare nulla. Puoi solo osservare.

Quel giorno ho riso per tutti i miei sforzi stupidi e ridicoli per conseguire l’illuminazione. Ho riso di me e ho riso dell’intera umanità, perché tutti cercano di raggiungere, di arrivare, di migliorare.

A me accadde in uno stato di rilassamento totale e accade sempre in questo stato. 

Avevo provato di tutto e poi, vedendo l’inutilità dei miei sforzi, ho abbandonato ogni ricerca... ho lasciato perdere il mio progetto e me ne sono dimenticato.

Tu mi chiedi, “Qual è stata la prima cosa che hai fatto dopo che ti sei illuminato?”

Ho riso e da allora ho continuato a ridere.

Non vi posso ridere in faccia, mentre vi racconto le barzellette, altrimenti le rovinerei, ma rido tramite voi."






Alla luce di questo.
Se dicessi che è successo a me.
A me che non valevo niente e che ora mi sento ancora meno valevole di prima.

Se dicessi che è successo a me, all'improvviso, senza che lo volessi ma allo stesso tempo volendolo molto.
Chi mi crederebbe?

Chi sarebbe disposto a parlare con me di questo.
A chi è successo?
Non posso essere l'unica, perché già io ne conosco un altro.
E siamo in due.

Più Osho, (volete non credere nemmeno a lui su quello che vi sta dicendo.
Sono sicura che farebbe da testimone per me direbbe che tutto quello che sto dicendo aveva provato a dirlo anche lui) e siamo 3.



C'è qualcuno che mi crede e capisce?


I'M JUST A GIGOLO'...

Fa comodo parlare solo di cose belle.
In questo mondo dove l'unica cosa che conta pare siano le chiacchiere, una persona che parla di argomenti scomodi disturba la vostra quiete, quella che tanto credete di meritare, e insinua un dubbio.
E subito lo pensate nemico.
E' meglio continuare a parlare delle inezie che succedono nelle nostre esistenze, piuttosto che allargare lo sguardo e vedere anche ciò che accade nel mondo.
E' più comodo, me ne rendo conto.
E' anche più facile parlare di scarpe, macchine, smalti per le unghie e diete.
O di quella volta che abbiamo incontrato quello la che era vestito come.
O di quella volta che siamo stati la e poi abbiamo trovato boh.

Rilassanti.
E' vero.
Le chiacchierate non fanno pensare a ciò che succede nel mondo.
Che è poi quello che decide veramente delle nostre vite.

Non ci fa vedere più in là del nostro naso, tutti preoccupati come siamo nelle nostre piccole faccende.
Tutti preoccupati di tirare a campare e di poterci un giorno permettere quello e quest'altro.
Sono speranze.
Mandatele a fare in culo un secondo le speranze e guardatevi attorno.
Ampliate quello sguardo che è cieco verso il mondo e guardatevi attorno vi prego con onestà.

Siate sinceri verso voi stessi prima che verso gli altri.
E fatevi una domanda.
Cosa ci faccio in mezzo a tutto questo?
Chi sono io realmente?
Chi sono e cosa posso fare realmente in questo mondo che mi circonda?
Qual'è la vostra direzione?

Ragazzi!
Ma dove stiamo andando?

Guardatevi attorno cazzo.
Lo ripeterò all'infinito.
Guardate che fatica già si deve fare in un mondo che vogliono farci credere essere troppo stretto per tutti.
E il di più siamo noi.
Siamo noi che dobbiamo sparire.
Ma guardate i vostri lavori.
Leggete i vostri contratti.
Contate la vostra paga.
Come potremo permetterci di vivere ancora così?
Con questo ritmo, che non freniamo mai, ma che anzi ci invogliano a incrementare.
Il problema non è che quelli devono produrre.
Il problema è che noi dobbiamo comprare.

Ma siate onesti, è fondamentale esserlo.
La dignità dov'è finita?

Guardiamo questa società che crolla ai nostri piedi con una cecità che va oltre l'indifferenza.

E questa indifferenza si chiama abitudine.
Siete abituati a stare male, siete abituati a fare sacrifici, siete abituati a fare le cose che fate, siete abituati ad essere quello che siete e questo vi impedisce di fare un cambiamento serio.

Di prendere anche solo una presa di posizione.
Di dire a me tutto questo non sta bene.

Ma di dirlo in nome tuo.
In nome tuo.


Allora cercate poi di dare la colpa a qualcuno e di fannulloni buffoni che girano su giornali e televisioni è bello e pieno il mondo, perciò cercate qualche capro espiatorio del momento a cui accollare tutto il vostro malessere.

Ma la causa di questo malessere siete voi.
Siamo noi.
Siamo noi che ci accontentiamo degli ultimi stracci di una società sull'orlo del fallimento per coprirci il culo.
Siamo noi che non regiamo.
Ma ditemi, ma chi altro deve reagire?
Chi si deve preoccupare di noi se non noi stessi?
Vedete attorno a voi qualcuno che lo fa?
O che anche solo sta mettendo solide basi per il vostro futuro?
A me sembriamo patetici a stare qui ad aspettare per l'ennesima volta che qualcuno si faccia carico dei nostri problemi e li risolva.

Ma chi si prenderà la briga?
Chi può parlare in nome mio meglio di me?

Veramente affidereste tutto ciò che avete, anche (e soprattutto) quel poco che avete, nelle mani del liberatore di turno?
Di quello che vi dice per l'ennesima volta di non preoccuparvi perché ci pensa lui a voi?
Ma lui chi è?
E che cosa vuole?
Sprechiamo ore e ore del nostro tempo ad ascoltare persone che parlano delle nostre vite e cerchiamo di scorgere tra loro almeno uno, dico uno solo, che possa darci un po' di sicurezza.

Una speranza.
Ed ecco di nuovo che torniamo al discorso di prima.
Noi siamo la nostra speranza.
E in particolare io sono la mia e tu sei la tua.

Non cambiamo mai le nostre abitudini.
Aspettiamo il momento giusto per farlo.
Vero?
Ci sarà il giorno in cui cambieremo quello che faremo e allora risolveremo tutto.
E' vero che cambiando si risolve, il punto è cosa state aspettando?
Che qualcuno spari un colpo?
Non so, che vi dicano via libera?

Cosa aspettate.
Quando verrà quel giorno.
E quando verrà, se verrà vi accorgerete che quello è il giorno giusto?
Ve ne accorgerete ancora o le abitudini vi avranno resi ciechi del tutto?

L'Italia sta andando a rotoli.
E questo è un dato di fatto.
E' brutto parlarne, me ne rendo conto ed è ancor più brutto se ne si parla con onestà.
Perché riempirsi la bocca con quello che non hanno fatto gli altri è meno dura che parlare di ciò che stiamo facendo noi per migliorare.
E' semplice additare il Berlusconi di turno e dire che è tutta colpa sua se le cose vanno a rotoli ed elencarne fatti e misfatti, ma è utile tanto quanto parlare di moto e orecchini.
Parliamo invece delle mie abitudini e di come vivo io la mia vita.
Parliamo del fatto che se ho una bella casa è grazie anche a qualcuno che la casa non ce l'ha.
Parliamo del fatto che i miei consumi e la mia scelta al supermercato è così ampia perché qualcuno dall'altra parte del mondo muore di fame.

Parliamo di nuovo delle cose di cui non vuol parlar nessuno.
Ma parliamo con coscienza e con compassione vera.


Che i responsabili siamo noi non deve farci sentire privi di potere.
Al contrario, la causa è proprio la soluzione.
Se veramente parlassimo ogni tanto di cose serie, tra di noi, senza intromissioni esterne, senza giudizi, ma con sincerità la troveremmo la soluzione.
Ma niente voi vi affidate a quello che sembra l'eroe di turno e riponete in lui tutte le vostre speranze, sperando che faccia ciò che voi non avete il coraggio di fare.

E di eroi di turno che si sono rivelate cacchette ne è piena la storia.

Ragazzi svegliamoci.
Le mie sono tante belle parole è vero ma solo perché senza il vostro aiuto
, senza il NOSTRO aiuto, non posso fare di più.
Saremo tutti senza lavoro se non prendiamo provvedimenti seri.
Saremo tutti senza futuro.
Ma dobbiamo pensarci ora.
Siamo in un equilibrio precario e siamo nelle mani di squilibrati.
Ce ne vogliamo rendere conto?
Vogliamo cercare di capire dove vogliamo andare, visto che intorno a noi non troviamo destinazione?



Grazie per l'attenzione. 
Saluti dalla Fraschetta 

venerdì 20 luglio 2012

Che palle sta gente...


Lippmann, Berneys, Schuman, Monnet, Perroux, Hayek, Powell, Huntington, Feulner, Brunner,
Friedman, Thatcher, Reagan, Kohl, Mitterrand, Attali, Delors, Trichet

Andate a fare in culo!
E questo è l'inizio.

Il costante mezzo

Chiamiamo natura la legge dell'universo.  
Chiamiamo norma il seguire questa legge.  
Chiamiamo educazione la pratica della norma.  
A noi non è possibile allontanarci neppure per un attimo dalla norma.  
Se potessimo farlo, non sarebbe la norma.  
E' per questo che il signore ha un atteggiamento prudente e attento verso tutto ciò che ancora non è possibile vedere, ed è timoroso e si preoccupa per tutto ciò che ancora non è possibile udire. 
 Nulla è più evidente di ciò che è nascosto, nulla risalta più chiaramente di ciò che è molto piccolo.  
Ecco perché il signore si comporta in modo assai prudente anche quando è solo.
Si è in una posizione di mezzo, ovvero di centro, quando non si è preda della collera o della gioia, della malinconia o del piacere.  
Quando invece si provano queste emozioni però senza oltrepassare il giusto equilibrio, allora si è in una situazione di armonia.  
Il mezzo è la grande origine di ogni cosa che esiste, e l'armonia ne rappresenta l'aspetto favorevole e positivo.
Giunti nella posizione di mezzo e conseguita l’armonia, allora Cielo e terra sono al loro posto ed è così che ogni cosa sotto il cielo può svilupparsi.

Confucio

giovedì 19 luglio 2012

IO CAPISCO E TU?


Non più chicchi di mais.
Depongo la mitraglia tecnica per raccontare a te una storia. Chi sei tu? Ah, questo non lo so, io spererei che tu fossi quello 0,2% fra coloro che mi leggono che capisce la compassione. Degli altri, grazie di tutto, ma non me ne frega nulla, cioè non mi interessano ste frotte di italiani che adorano essere informati, della serie “grazie Barnard, sei grande, non mollare mai!!”. Ok, sono informati, e poi? Ti faccio notare una cosa: in quasi tutti i miei lavori, soprattutto nelle due versioni del Più Grande Crimine, io ho speso parole forti sul punto per me più importante in assoluto, che è la pena che ho sentito per chi fu schiacciato, sfregiato e umiliato da questo sistema economico e sociale. La stessa pena che sento ora per tutti coloro che oggi patiscono lo stesso destino. Sono tanti, ma tanti. Ora pensa: fra le centinaia di migliaia di letture, commenti e diatribe che il mio lavoro ha innescato, nessuno mai, nes-su-no, ha evidenziato i miei accenti posti su quella sofferenza. Fatti un viaggio fra i commenti di siti noti come Comedonchisciotte o nei gruppi che parlano del mio lavoro su Facebook o in tanti altri blog dove io spunto. Vi trovi una varietà di individui che contribuiscono annotazioni che vanno dall’abiezione, al cinismo, allo sterile, o che, al meglio, sono inutili appassionati. Ma nessuno si ferma sulla pena, sulla compassione per i milioni di esseri umani che vivono sulla loro pelle il sadismo del Vero Potere, cioè per il popolo delle strade di asfalto, non quello delle strade informatiche. Nessuno neppure la considera quella immensa pena.
Lo so: io meno fendenti pesantissimi talvolta, ma perché? Perché io so che la macchina del Vero Potere è due secoli avanti a qualsiasi reazione popolana immaginabile, e solo eguagliandone la maniacale preparazione potremo combatterli. Loro sono precisi come robot chirurgici, noi dobbiamo essere identici. Loro sono diffusi capillarmente, noi dobbiamo essere identici. Loro lavorano 24 ore su 24, 365 su 365, noi dobbiamo essere identici. Rimanere indietro anche di un solo giro significa aver perso. Perso cosa? Persa la possibilità di licenziarti dal datore di lavoro che ti tocca la figa da cinque anni, e tu sei alla disperazione, ma hai la bimba a casa e non puoi difenderti; là fuori non c’è un altro lavoro per darti da vivere. Perso il futuro di tuo figlio Andrea, che volevi mandare ad architettura a Firenze, ma no, farà il barista con te, fine dei sogni di un padre, fine del futuro di un figlio. Perso tua madre per un cancro, perché l’hanno operata un anno e due mesi più tardi del dovuto, visto che per la clinica privata non ce n’era. Persa la voglia di vivere, perché con crediti per 700 mila euro, che nessuno ti pagherà più, hai dovuto chiudere la litografia a mandare a casa Luca, Piero, Sandrino, Pierluigi, Carlotta, Emilia, Enza e Giovanna. Era la tua famiglia dal 1993. Pierluigi aveva appena acceso un mutuo e fatto due gemelli. Tu ieri sei stato dal neurologo che ti ha detto: le rimane il litio, signor Mauro, lei non può continuare così. Perso la testa giovedì scorso, quando nel corridoio dell’ufficio di quartiere hai urlato “lei è una merda!” al medico legale che ti aveva detto “Signora V., lei non può chiedere quello che non c’è, non ha l’unico Alzheimer di Bologna in casa. Non avete parenti che possano aiutare?”. E queste sono tutte storie e nomi veri, sofferenza vera. Perso la possibilità di essere rispettati come persone, di avere un futuro, di non soffrire come bestie, e di non dover morire così, dopo aver ingoiato tutto da perdenti e per il profitto di pochissimi altri.
Io meno fendenti, perché chi si autoproclama paladino della lotta contro gli aguzzini della mostruosa macchina del Vero Potere – cioè paladino di tutte le persone vere sopra descritte e di milioni come loro, paladino della loro sofferenza vera, vera! – deve essere un mostro di competenza che darà tutto se stesso per essere micidiale tanto quanto il nemico. Se non lo è, se prende scorciatoie, se non si pensa a sua volta macchina perfetta e chirurgica e se non lo è davvero, ma lo stesso pretende di vestire il manto del vendicatore, allora è un buffone in cerca di visibilità, di vendite di libri, di carriere, dell’adorazione di patetici fans, è un approssimativo ignorante, una‘bella anima’, che però straparla per cavalcare la news di moda, come quelli che io giustamente prendo a calci. Buffoni impietosi falsari che spacciano sciroppi da circo per la cura della sclerosi multipla.
Che cosa è la Modern Money Theory, cioè l’MMT? Te la metto così. Una sera di febbraio di quasi due anni fa ero su Skype con l’economista Randall Wray, il timido americano con la voce quieta che ha raccolto il lavoro di giganti dell’economia come Keynes, Robinson, Lerner, Knapp, Godley, Goodhart, Minsky, e l’ha adattato all’economia moderna. Non avevo la più pallida idea che mi stesse parlando di MMT. Gli stavo proponendo i miei studi sul Vero Potere per capirne la parte finanziaria, lui continuava a ripetermi questa cosa della moneta moderna, lo Stato la possiede, la può spendere per noi, a debito. Non so come sia accaduto, ricordo un ronzio della mia testa che di colpo si è formato in parole, e mi è uscito quasi un urlo: “Randy! Randy! Stop… What you are saying, God!, what you are really saying is that we owned the goose that lay the golden eggs! For God’s sake! Yes! We did!”. “Randy, quello che mi stai veramente dicendo è che noi avevamo per le mani la gallina dalle uova d’oro, Cristo!, sì!, certo, l’avevamo!”. Dall’altra parte della linea mi arriva lui, come lui è, mi arriva il suo “Yep!”, cioè: esatto, in slang. Fine commenti, non una sillaba di più. Randy è così. Ma io stavo già catalizzando le forme del più grande crimine commesso contro le società occidentali dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi, proprio il cuore del male, ed ero saltato sulla sedia perché lo vedevo. Letteralmente, davanti agli occhi, come in fotogrammi netti che si srotolano nel passato italiano, mi erano ricomparsi gli ospedali fatiscenti degli anni sessanta e gli ammalati a morire nei corridoi, gli emigranti italiani ammassati come bestie nelle cantine tedesche o belghe, i morti durante gli scioperi, gli analfabeti del sud finiti nelle mafie pur di mangiare, la vita nei palazzoni-caserme degli sfollati dalle campagne della fame in Molise, Abruzzo, Lazio, persino in Veneto, i turnisti delle fabbriche micidiali della padania, le scuole coi banchi degli anni ’30 e i computer solo un miraggio, i nostri vecchi a morire negli ospizi della tortura istituzionalizzata come fine vita. E tanto altro, tutto compresso in un istante. Era tutto stato voluto a tavolino, non fu mai necessario che accadesse, non fu mai un accidente dell’economia, fu solo per profitto, di pochi.
Randall Wray stava là, aveva capito che io avevo capito, e solo al termine del mio pathos aveva aggiunto, e sempre con la sua cantilena da Mid-West: “It’s so frustrating. You see all these progressives that scream about the bad stuff in the peripheral, like the big banks, the multinationals, capitalism. Ok, you can criticize that, but they don’t understand the core issue, what modern money could have done for people and for democracy. What it could do now”. “E’così frustrante. Vedi tutti questi di sinistra che si agitano sui mali laterali, come le mega banche, le multinazionali, il capitalismo. Ok, si possono criticare, ma non capiscono il punto centrale, cioè cosa il denaro moderno avrebbe potuto fare per la gente e per la democrazia. Cosa potrebbe fare ancora oggi”.
Tutto iniziò quella sera. Io ho semplicemente messo assieme ciò che sapevo dei meccanismi di potere sovranazionale con l’essenziale verità di macroeconomia dello Stato di Randall Wray e della sua Modern Money Theory: uno Stato con propria moneta sovrana può comprare tutta l’occupazione che vuole, tutta l’assistenza sociale che vuole, tutta l’istruzione che vuole, tutte le case per gli sfrattati o per i giovani che vuole, e creare una cittadinanza protetta, forte, non impaurita, non ricattata, non ignorante. Può creare la VERA DEMOCRAZIA. Uno Stato con propria moneta sovrana e legittimato dai suoi cittadini nel nome del bene comune, può decretare la morte della mefitica macchina del Vero Potere, e per sempre. Lo può fare, lo poteva fare. Era la nostra gallina dalle uova d’oro. Perché non è mai accaduto? Da qui iniziò la mia ricerca su quel perché, che ha partorito Il Più Grande Crimine.
La scena di povertà più orribile che ho mai visto nella mia vita fu nel 1999 in Africa. Filmavo la puntata di Report “Un  debito senza fondo”,su come il Vero Potere aveva distrutto milioni di vite africane nel momento in cui quel continente aveva immaginato una sua riscossa, che doveva passare attraverso il New International Economic Order di 40 anni fa. Quella scena di miseria mi passò davanti a telecamera spenta. Ero in Tanzania con un gruppo di politici, mi stavano portando a visitare un impianto di produzione di farina di mais per la polenta bianca, il cibo di sopravvivenza di tutta l’Africa sub sahariana. Dovevo filmarlo perché il Fondo Monetario Internazionale aveva appena imposto l’austerità a quel Paese, cioè stop agli aiuti di Stato per la produzione di alimenti, fra le tante misure. Una cosa nazista. Il complesso, fatiscente ammasso di silos e capannoni sovietici, si ergeva su una spianata di argilla desertica, quasi savana, ed era servito da una strada sterrata che eruttava nuvole di polvere spaventose al passare di ogni camion carico di mais. Si doveva stare sopravento a quelle tempeste, per non esserne impastati come chi fosse caduto in una vasca di gesso ingiallito. L’approccio degli ultimi metri prima delle cancellate era obbligatoriamente a piedi, e io camminavo in fila indiana coi locali accompagnatori. La sfilza dei camion era continua, serrata, rombo e polvere e vento da stordire un rinoceronte. A poco dall’entrata vi fu un vuoto di passaggi degli automezzi e tutto si placò. Al calare del polverone, una figura si materializzò alla mia sinistra, come in un incantesimo da teatro dell’ottocento. Vidi una cosa piccola, gobba, tutt’uno con l’argilla, il volto una maschera gialla dove la terra si era incrostata fra le pieghe della pelle di una donna vecchissima, secca da far pensare che potesse prendere fuoco sotto quel sole, la carne umana l’aveva abbandonata da tempo. Non so dirvi gli stracci che la ricoprivano, se erano stracci, sacchi di plastica, o cosa. Ho visto muoversi solo il suo braccio destro, sembrava un ramo di legno nero, la mano che separava la sabbia con movimenti circolari lenti, quella donna aveva il petto a meno di un metro dal suolo, non so come stesse in piedi. Mi dovetti fermare, gli accompagnatori se ne accorsero e tacquero. Poi la donna mi mostrò la povertà: cercava e raccoglieva singoli chicchi di mais caduti dai camion, e li metteva nel pugno dell’altra mano. Per mangiare.
Capire, chiedere, decidere. Fu tutt’uno. Capire, che ero un’insulsa bella anima che credeva alla personale assoluzione dai mali del mondo perché armato di mezzi patetici, nozioni approssimative, e un titolo di giornalista d’assalto immaginavo di poter combattere la colossale catena di smontaggio delle decenza umana rappresentata dal Vero Potere globale. Chiedere, a quella donna di maledirmi nell’ora della sua vicinissima morte se non avessi speso il resto della mia vita a studiare tutti gli ingranaggi di quella catena con una perizia maniacale al fine di veramente fermarla, perché solo e solo così noi uomini e donne dotati di compassione avremmo potuto ripulire per sempre quella scena dal registro dell’infamia. Decidere, che non avrei avuto altro da dire, a voi che mi leggete, se non questo, da quel giorno in poi. Ed è solo questo che io sto dicendo da anni e anni, che lo dica per la tragedia palestinese, per l’imperialismo militare dell’Occidente, per l’economia del Più Grande Crimine.
La sofferenza di chi è preso nelle maglie del Vero Potere -dal disoccupato italiano alle altre carcasse di legno secco che cercano cicchi di mais fra la polvere, dall’Africa ad Haiti o al Brasile – la dovete ignorare e neppure osare avvicinarvi se credete che si possa combattere anche solo un metro al di sotto della genialità efficientista e della maniacale organizzazione del Vero Potere, o essendo anche solo di una pagina più ignoranti della sua agghiacciante perizia. Fare altrimenti è un insulto a quella donna. E la quasi totalità delle belle anime che guidano la lotta al mostro Neoliberista la stanno insultando.
Ora tu, e solo tu fra le migliaia di persone che leggeranno per nulla queste righe, tu che le hai capite, tu sai cosa ha fatto per me la Modern Money Theory di Randall Wray. Mi ha messo nelle mani l’arma che mi mancava, e che, caricata col fuoco di una conoscenza completa del funzionamento del Vero Potere, potrà esplodergli il colpo che lo abbatte, niente meno. Perché l’MMT funziona in Italia e in Tanzania allo stesso preciso modo, ed è per l’economia, la democrazia e la decenza umana quello che la penicillina fu per l’umanità intera. MMT è uno Stato, legittimato dai cittadini, con la sua moneta sovrana spesa a deficit per loro prima di tutto, fino alla loro completa sicurezza e benessere. E’ il compimento ultimo della democrazia.
E sogno che fra non troppo tempo potrà esistere una favola da raccontare ai nostri bambini che inizierà recitando “C’era una volta un pugno di chicchi di mais intrisi di sabbia…”, e che finirà così “Ma oggi, bimbi, per fortuna non c’è proprio più”.

Preghiera a Dio

Non è più dunque agli uomini che mi rivolgo; ma a te, Dio di tutti gli esseri, di tutti i mondi, di tutti i tempi:
se è lecito che delle deboli creature, perse nell’immensità e impercettibili al resto dell’universo, osino domandare qualche cosa a te, che tutto hai donato,
a te, i cui decreti sono e immutabili e eterni, degnati di guardare con misericordia gli errori che derivano dalla nostra natura.
Fa’ sì che questi errori non generino la nostra sventura.
Tu non ci hai donato un cuore per odiarci l’un l’altro, né delle mani per sgozzarci a vicenda;

fa’ che noi ci aiutiamo vicendevolmente a sopportare il fardello di una vita penosa e passeggera.Fa’ sì che le piccole differenze tra i vestiti che coprono i nostri deboli corpi,
tra tutte le nostre lingue inadeguate, tra tutte le nostre usanze ridicole,
tra tutte le nostre leggi imperfette, tra tutte le nostre opinioni insensate,
tra tutte le nostre convinzioni così diseguali ai nostri occhi e così uguali davanti a te,
insomma che tutte queste piccole sfumature che distinguono gli atomi chiamati “uomini” non siano altrettanti segnali di odio e di persecuzione.
Fa’ in modo che coloro che accendono ceri in pieno giorno per celebrarti sopportino coloro che si accontentano della luce del tuo sole;
che coloro che coprono i loro abiti di una tela bianca per dire che bisogna amarti, non detestino coloro che dicono la stessa cosa sotto un mantello di lana nera;
che sia uguale adorarti in un gergo nato da una lingua morta o in uno più nuovo.
Fa’ che coloro il cui abito è tinto in rosso o in violetto, che dominano su una piccola parte di un piccolo mucchio di fango di questo mondo,
e che posseggono qualche frammento arrotondato di un certo metallo, gioiscano senza inorgoglirsi di ciò che essi chiamano “grandezza” e “ricchezza”,
e che gli altri li guardino senza invidia: perché tu sai che in queste cose vane non c’è nulla da invidiare, niente di cui inorgoglirsi.
Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli!
Abbiano in orrore la tirannia esercitata sulle anime,
come odiano il brigantaggio che strappa con la forza il frutto del lavoro e dell’attività pacifica!
Se sono inevitabili i flagelli della guerra, non odiamoci, non laceriamoci gli uni con gli altri nei periodi di pace,
ed impieghiamo il breve istante della nostra esistenza per benedire insieme in mille lingue diverse,
dal Siam alla California, la tua bontà che ci ha donato questo istante.



Voltaire

SOGNO O SON DESTA?


Sogno che dopo un Black Out mondiale si scateni una guerra planetaria.
Ho sognato l'Apocalisse.
Umberto Eco

Quando qualcuno dice "io sogno che..." oppure "ho fatto un sogno", s'intende di solito che in quel sogno si siano materializzati, o svelati, i suoi desideri. Ma un sogno può anche essere un incubo, in cui si annuncia ciò che non si desidera affatto, oppure un sogno divinatore, che richiede l'intervento dell'interprete autorizzato, il quale ci dica che cosa esso annunciava, prometteva o minacciava. Di questa terza natura è il mio sogno, e lo racconto così come lo sogno, senza chiedermi in anticipo se corrisponda ai miei desideri o alle mie paure.

Sogno dunque che dopo un 'black out' globale, che immobilizza l'intero mondo civile, nella ricerca folle delle responsabilità, e nel tentativo di reagire a una minaccia, si scateni una bella guerra planetaria. Ma di quelle coi fiocchi, non un incidente marginale come la seconda guerra mondiale, che ha fatto solo cinquanta milioni di morti. Una guerra vera, di quelle che la tecnica ci consente oggi di fare, con intere aree del pianeta desertificate dalle radiazioni, con almeno la metà della popolazione mondiale che scompare, per fuoco amico, fame, pestilenze, insomma una cosa per bene, fatta da generali competenti e responsabili, all'altezza dei tempi. Naturalmente (si è egoisti anche nei sogni) sogno che io, i miei cari, i miei amici, viviamo in una zona del pianeta (possibilmente la nostra) in cui le cose non siano andate del tutto in modo disperato.

Naturalmente, non avremo più comunicazioni televisive, per non parlare d'Internet, visto che anche le linee telefoniche saranno ormai andate in tilt. Sopravviverà qualche comunicazione radio, usando vecchi apparecchi a galena. Non ci saranno più le linee elettriche, ma rabberciando alla buona alcuni pannelli solari, specie nelle case di campagna, si potrà avere qualche ora di luce, e per il resto si andrà a borsa nera per alimentare dei lumi a petrolio, tanto nessuno starà ancora a raffinare benzina per macchine che, se ancora esistono, non hanno più strade dove correre. Al massimo qualche camioncino, e per il resto carretti e calessi trainati da cavalli. A questa luce scarsa, e possibilmente accanto a un caminetto alimentato con parsimonia disboscando di qua e di là, di sera, ai miei nipoti, ormai privi della televisione, potrò leggere vecchi libri di fiabe ritrovati in solaio, o raccontare di come fosse il mondo prima della guerra.

A una cert'ora ci accucceremo davanti alla radio e capteremo alcune trasmissioni lontane, che ci informano su come stanno andando le cose, e ci avvertono se si addensano pericoli nella nostra area. Ma per comunicare si saranno anche riaddestrati colombi viaggiatori, e sarà bello staccare dalla loro zampetta l'ultimo messaggio in arrivo, che ci dice che la zia ha la sciatica ma tutto sommato continua a campare, o trovare il quotidiano di ieri in ciclostile. Può darsi che, se ci siamo rifugiati in campagna, nel paesino abbiano tenuto in piedi una scuola, e in tal caso darei il mio contributo, insegnando grammatica o storia - non geografia, perché i territori saranno nel frattempo così mutati che parlare di geografia sarebbe lo stesso che parlare di storia antica. Se poi la scuola non ci fosse, radunerei i nipoti e i loro amici e farei scuola in casa, prima le aste, per addestrargli il polso, e non solo alla scrittura, ma ai molti lavori manuali che dovranno fare, e poi via via, se ci fossero ragazzi più grandi potrei fare anche delle buone lezioni di filosofia. Può darsi che per i ragazzi rimanga il cortile della parrocchia, dove sarà sopravvissuto un campetto di calcio (e si potrà giocare anche con una palla di stracci), forse sarà stato ricuperato dalla cantina un vecchio calciobalilla e il parroco avrà fatto costruire dal falegname un ping pong, che i giovani scopriranno più appassionante e creativo dei videogiochi di un tempo.

Si mangerà molta verdura, se la zona non sarà ancora radioattivizzata, e saranno buone le ortiche cotte, che sembrano spinaci. Siccome si moltiplicano per vocazione, non mancheranno dei conigli, e forse ci sarà un pollo di domenica, alla più piccola il petto, al più grande la coscia, l'ala al papà, l'anca alla mamma, e per la nonna che è di bocca buona il collo, la testa e il portacoda, che nei polli ruspanti è il più saporito. Si riscoprirà il piacere delle passeggiate a piedi, il tepore dei vecchi giacconi fuori moda, e dei guanti di lana, con cui si può anche giocare a palle di neve. Non dovrebbe mancare il vecchio medico condotto, capace di mettere insieme qualche riserva di aspirina e di chinino. Si sa, senza più le camere iperbariche, le tac e le ecografie, la vita umana tornerà su una media di sessant'anni, ma non sarà male, calcolando la lunghezza della vita media in altre zone del globo. Rifioriranno sulle colline i mulini a vento. Davanti alle loro grandi braccia i vecchi racconteranno la storia di don Chisciotte, e i piccoli scopriranno che è bellissima. Si farà musica, e tutti impareranno a suonare qualche vecchio strumento ritrovato, per male che vada con un coltellino e una canna si possono fare intere orchestrine di flauti, alla domenica si danzerà sull'aia, e forse qualche fisarmonicista sopravvissuto suonerà la Migliavacca.

Nei bar e nelle osterie si giocherà a briscola, bevendo spuma e vino giovane. Circolerà di nuovo lo scemo del paese, costretto ad abbandonare la vita politica. I giovani demotivati si consoleranno aspirando vapori di camomilla con un asciugamano sulla testa, e diranno che è uno sballo.Riprenderanno fiato, a mezza montagna, molti animali, tassi, faine, volpi, e lepri a non finire, e anche gli animalisti accetteranno di andare talora a caccia per procurarsi cibo proteinico, con vecchie doppiette se ci sono, con archi e frecce in ogni caso, e vibratili cerbottane. Nella notte, a valle, si udranno abbaiare i cani, ben nutriti e tenuti in gran conto, perché si sarà scoperto che sostituiscono a poco prezzo sofisticati sistemi elettronici d'allarme. Nessuno li abbandonerà più sull'autostrada, sia perché avranno acquistato un valore commerciale, sia perché non ci sono più le autostrade, sia perché se anche ci fossero nessuno le prenderebbe più, perché arriverebbe troppo in fretta in zone che sarà meglio evitare, 'ubi sunt leones'.

Rifiorirà la lettura, perché i libri, tranne casi di incendio, sopravvivono a molti disastri, saranno ritrovati in stanzoni abbandonati, sottratti alle grandi biblioteche cittadine andate in rovina, circoleranno per prestito, verranno regalati a Natale, ci terranno compagnia nei lunghi inverni e persino d'estate, quando faremo i nostri bisogni sotto un albero. Pur udendo dalla radio a galena voci inquietanti, sperando di farla franca, ringraziando il cielo ogni mattina perché siamo ancora vivi e il sole risplende, i più poetici tra di noi inizieranno a dire che, tutto sommato, sta rinascendo un'età dell'oro. Calcolando che questi rinnovati piaceri dovrebbero essere pagati con almeno tre miliardi di morti, la scomparsa delle piramidi e di San Pietro, del Louvre e del Big Ben (New York nemmeno a parlarne, sarà tutto Bronx), e che dovrò fumare paglia, se non sarò riuscito almeno a perdere il vizio, mi sveglio dal mio sogno con molta inquietudine e - dico la verità - spero che non si avveri.

Ma sono andato da uno che pratica la mantica e sa persino leggere le viscere degli animali e il volo degli uccelli, e costui mi ha detto che il mio sogno non annuncia soltanto qualcosa di orrendo: suggerisce anche come quell'orrore potrebbe essere evitato se riuscissimo a contenere i nostri consumi, astenerci dalla violenza, non eccitandosi neppure troppo a quella altrui, e riassaporare ogni tanto gli antichi riti e i desueti costumi - perché dopotutto anche oggi si può spegnere il computer e il televisore e - invece di partire in volo charter per le Maldive - raccontare qualcosa accanto al fuoco, basta averne la voglia.

Ma, ha aggiunto il mio oniromante, proprio questo è un sogno, che si abbia il coraggio di fermarci un momento per evitare che di sogni si avveri l'altro. E quindi, ha aggiunto l'oniromante, che è saggio ma stizzoso come tutti i profeti a cui nessuno dà retta, andate un poco a farvi fot...e tutti quanti, perché è anche colpa vostra.
martedì 17 luglio 2012

Piccoli orti crescono...



Piccoli orti crescono.

lunedì 16 luglio 2012

CODA DI LUPO



Quando ero piccolo m'innamoravo di tutto correvo dietro ai cani 
e da marzo a febbraio mio nonno vegliava 
sulla corrente di cavalli e di buoi 
sui fatti miei sui fatti tuoi 

e al dio degli inglesi non credere mai. 

E quando avevo duecento lune e forse qualcuna è di troppo 
rubai il primo cavallo e mi fecero uomo 
cambiai il mio nome in "Coda di lupo" 
cambiai il mio pony con un cavallo muto 

e al loro dio perdente non credere mai 

E fu nella notte della lunga stella con la coda 
che trovammo mio nonno crocifisso sulla chiesa 
crocifisso con forchette che si usano a cena 
era sporco e pulito di sangue e di crema 

e al loro dio goloso non credere mai. 

E forse avevo diciott'anni e non puzzavo più di serpente 
possedevo una spranga un cappello e una fionda 
e una notte di gala con un sasso a punta 
uccisi uno smoking e glielo rubai 

e al dio della scala non credere mai. 

Poi tornammo in Brianza per l'apertura della caccia al bisonte 
ci fecero l'esame dell'alito e delle urine 
ci spiegò il meccanismo un poeta andaluso 
- Per la caccia al bisonte - disse - Il numero è chiuso. 

E a un Dio a lieto fine non credere mai. 

Ed ero già vecchio quando vicino a Roma a Little Big Horn 
capelli corti generale ci parlò all'università 
dei fratelli tutte blu che seppellirono le asce 
ma non fumammo con lui non era venuto in pace 

e a un dio fatti il culo non credere mai. 

E adesso che ho bruciato venti figli sul mio letto di sposo 
che ho scaricato la mia rabbia in un teatro di posa 
che ho imparato a pescare con le bombe a mano 
che mi hanno scolpito in lacrime sull'arco di Traiano 
con un cucchiaio di vetro scavo nella mia storia 
ma colpisco un po' a casaccio perché non ho più memoria 

e a un dio senza fiato non credere mai. 

| Top ↑ |